Pagine Romaniste (F. Belli) – Si dice che la vita sia un sogno da cui ci sveglia la morte. Tutti i tifosi della Roma si sono svegliati quel maledetto 16 marzo del 1969, il giorno della morte di Giuliano Taccola. Si è svegliato anche un ragazzo, ora un po’ più anzianotto, di nome Claudio. Per capire questa storia occorre tornare alla vigilia di Spal-Roma della scorsa stagione, quando i capitolini erano alla disperata ricerca di punti a poche settimane dalla sconfitta col Porto e successivo fine ciclo di Di Francesco. Al termine della conferenza stampa del prepartita, in quella che sembra una normale vigilia di campionato, Ranieri annuncia che i suoi scenderanno in campo con una patch con scritto “Giuliano“, quasi commosso. Non è un giorno qualsiasi, sono passati 50 anni da quel pomeriggio tragico, vissuto in prima persona dallo stesso Ranieri che era entrato da poco nella Primavera giallorossa appena diciassettenne. Un ragazzo, appunto. Si era appena conclusa Cagliari-Roma, e Giuliano Taccola era morto per un arresto cardiaco. Da mesi ormai soffriva di frequenti attacchi febbrili, svenimenti improvvisi, cali di pressione. Aveva subito anche un intervento per l’esportazione delle tonsille, ma i problemi erano continuati. Sono tanti i dolori che affliggono quella giovane promessa, e la necessità di vederlo in campo il prima possibile complica la situazione: è una pedina fondamentale e la Roma non può privarsene. Sono tanti, troppi, i malori avvertiti dopo allenamenti e partitelle, ma continua a giocare e a stare male.
Il processo a Herrera e Taccola “figlio di Roma”
Senza girarci troppo intorno, uno dei principali sotto processo è l’allenatore Herrera. L’accusa proviene da un compagno di squadra, Cordova, intervistato di recente da Rete Sport: “All’aeroporto, quando è arrivata la notizia della sua morte Herrera voleva andare via per giocare la Coppa Italia. Ci disse di tornare a Roma e io gli risposi: «Vattene o ti mettiamo le mani addosso». Alla fine io, D’Amato e Sirena rimanemmo a Cagliari dopo la morte di Taccola. Tra l’altro sulla morte di Giuliano non fu detta tutta la verità. Avrebbe dovuto riposarsi in montagna, il presidente Marchini era d’accordo, ma Herrera lo faceva allenare, e così a lui tornava la febbre…”. C’è stata un’inchiesta, ma è stata archiviata. Una ferita aperta per tutti coloro che l’hanno vissuta: dalla moglie che non ha mai dimenticato quell’amore finito troppo presto ai figli rimasti orfani, ai familiari, ai tifosi come quel diciassettenne che magari vedeva in Taccola un modello da seguire. Una storia che finisce nel dimenticatoio insieme a tutte quelle storie che vanno dimenticate, come se così facessero meno male. Improvvisamente però la ferita si riapre, torna a sanguinare: la Curva Sud include Giuliano Taccola tra i 16 “Figli di Roma” nella coreografia del derby dell’11 gennaio 2015. Ed è giusto ricordare, perché come diceva Wang Shu perdere il passato significa perdere il futuro. Pagine Romaniste (F. Belli)