La meglio gioventù – Alberto Aquilani: il talento romano frenato dai troppi infortuni

(S. Valdarchi) – In questo nostro viaggio a ritroso nel tempo, attraverso i migliori frutti del settore giovanile della Roma, incontriamo per la prima volta un giocatore che ha appeso gli scarpini al chiodo. Si tratta di Alberto Aquilani, nato nel luglio del 1984 e che l’estate scorsa, a 35 anni ancora da compiere si è ritirato dal calcio giocato. La sua carriera, comunque degna di nota e ricca di esperienze in club di livello, è stata probabilmente frenata da una certa attitudine ad infortunarsi negli anni decisivi della sua maturazione.

Il cammino a Roma

Cresciuto nella Spes Montesacro, si afferma fin da piccolo e viene portato a Trigoria, dove percorre tutto il percorso delle giovanili, fino all’approdo in prima squadra. Debutta in Serie A il 10 maggio del 2003, in un Roma-Torino 3-1 che verrà ricordato anche per il primo gol di Daniele De Rossi con la maglia romanista. Gioca anche un’altra gara in quell’annata, in Coppa Italia contro la Triestina, club nel quale gioca in prestito nella stagione 2003/04.
In Serie B Aquilani si afferma senza troppa difficoltà, arrivando a collezionare 41 presenze e 4 gol nel campionato cadetto.
Una volta tornato alla Roma, ancora ventenne, riesce a ritagliarsi un ruolo importante, fino a diventare, negli anni successivi, uno dei pilastri della formazione Spallettiana. Veste la maglia giallorossa fino al 2009, raggiungendo quota 149 gare disputate. Rimane comunque il rimpianto di aver solo intravisto il miglior Aquilani, quello della rabona di San Siro e delle grandi conclusioni dalla distanza, per colpa di diversi guai fisici – tra cui la lesione al collaterale mediale del ginocchio destro e innumerevoli stop muscolari – che ne hanno minato la continuità.
Nell’agosto del 2009, a 25 anni, viene ceduto al Liverpool per 20 milioni di euro, cifra molto importante per un mercato ancora non drogato” come quello di oggi.

Le rivali della ex

Partito dalla Capitale, Alberto Aquilani, da sempre dichiaratamente tifoso romanista, nel giro di 6 anni veste le maglie di quattro dei club storicamente poco affini al popolo giallorosso: il già citato Liverpool, Juventus, Milan e Fiorentina. Manca soltanto la Lazio per l’en plein.
Scherzi a parte, il centrocampista classe ’84 firma un contratto quadriennale con i Reds, ma in Inghilterra non riesce mai ad affermarsi fino in fondo. Dopo una prima stagione trascorsa per la maggior parte in panchina, 18 presenze in Premier di cui la metà da subentrato, il Liverpool decide di cederlo in prestito alla Juventus, alla fine del mercato estivo del 2010.
A Torino, nell’ultima Juve pre-dominio – dalla stagione successiva è partita la duratura ed ancora attuale egemonia bianconera – Aquilani ritrova la titolarità, disputando 33 gare. Questi numeri però, non spingono la società di Agnelli a riscattare il romano, che tornato oltremanica si prepara ad un ulteriore prestito. La direzione questa volta è Milano, sponda rossonera. Anche al Milan, l’ex Roma si afferma senza troppe difficoltà nello scacchiere tattico di Allegri e sfiora lo Scudetto, arrivando pochi punti dietro proprio alla Juventus.
Terminato quel campionato, il Liverpool decide per la terza cessione consecutiva, sempre in Italia, ma questa volta a titolo definitivo. Il 3 agosto del 2012 viene ufficializzato il suo passaggio alla Fiorentina. In viola rimane per 3 anni, accompagnato durante questo tempo da Vincenzo Montella in panchina, che gli mette sulle spalle la numero 10 e ne fa un cardine della sua squadra.

Le ultime esperienze ed il ritiro

Dopo il suo addio a Firenze, Alberto Aquilani gioca soltanto altre tre stagioni, prima di svincolarsi per poi lasciare definitivamente il calcio giocato. Nel 2015 tenta fortuna all’estero, in Portogallo, con la maglia dello Sporting Lisbona. Nonostante un anno piuttosto positivo, i lusitani lo cedono al Pescara, neopromossa in Serie A. Aquilani trascorre soltanto i primi 6 mesi del campionato 2016/17 in Abruzzo, scendendo in campo per 9 volte, prima di essere girato in prestito al Sassuolo. A fine stagione, anche il Delfino decide di venderlo ed il classe ’84, dopo Inghilterra e Portogallo, va a giocare in Spagna, tra le fila del Las Palmas. Quella nelle Canarie rappresenta la sua ultima esperienza da giocatore. Nell’estate del 2018, con ancora un anno di contratto, rescinde con gli spagnoli. Passato un anno da svincolato, all’età di 34 anni si ritira dal calcio.
Attualmente è il presidente della Spes Montesacro, scuola-calcio nella quale è cresciuto e dallo scorso luglio è tornato a lavorare, in una nuova veste, nella Fiorentina. Nei viola ha iniziato come tecnico dell’Under 18, ma a dicembre 2019 Giuseppe Iachini, subentrato a Vincenzo Montella, lo assume come collaboratore tecnico nel suo staff.

(S. Valdarchi)

Fernando Torres si ritira dal calcio giocato. Il “Niño” che ha vinto tutto

Alice Dionisi – Il 21 giugno aveva annunciato che la partita contro il Vissel Kobe di Iniesta sarebbe stata l’ultima della sua carriera da calciatore e così è stato. Fernando Torres all’età di 35 anni appende gli scarpini al chiodo, terminando il suo percorso calcistico nel Sagan Tosu, in Giappone. Il Niño è uno dei soli cinque calciatori al Mondo (insieme a Pedro, Juan Mata, Kohler e Moller) ad aver vinto Champions, Europa League, Mondiale ed Europeo. Nato a Fuenlabrada nel 1984, inizia a giocare nei settori giovanili dell’Atletico Madrid a 11 anni. “Quando ero bambino, nella mia classe su 25 bambino, 24 tifavano Real e uno Atletico…”. Il più giovane capitano di sempre con la maglia dei colchoneros (a soli 19 anni), trascorre 12 anni nella sua squadra del cuore, di cui 6 in prima squadra. Poi nel 2007 viene ceduto al Liverpool per la consacrazione a livello internazionale, a fronte di un corrispettivo di circa 27 milioni di sterline.

A 17 anni l’esordio “tra i grandi” dell’Atletico, una settimana dopo il primo gol contro l’Albacete. Torna a Madrid a dicembre del 2014, dopo gli anni al Liverpool, Chelsea e in seguito alla breve esperienza con il Milan in Serie A. Con i colchoneros colleziona 121 reti in 351 presenze totali, prima di chiudere la carriera in Giappone col Sagan Tosu. L’eterna faccia da bambino gli fa ottenere il soprannome Niño, in Inghilterra raggiunge l’apice della sua carriera diventando uno dei migliori centravanti al mondo, ma nell’immaginario collettivo resta sempre un fanciullo.

Nel Liverpool diventa l’unico calciatore, insieme a Roger Hunt, ad andare a segno per otto partite casalinghe consecutive, nella cornice dell’Anfield, dove i tifosi impazziscono per lui. Nella sua prima stagione in Inghilterra batte il record, precedentemente appartenuto a Michael Owen, per il maggior numero di reti stagionali vestendo la maglia del Liverpool, 33. Nella stagione 2007/2008 viene eletto miglior calciatore della Premier League e nello stesso anno si piazza al terzo posto per il Pallone d’Oro.

A gennaio 2011 il trasferimento al Chelsea per 50 milioni di sterline, l’acquisto -al tempo- più costoso nella storia del calcio inglese. Non lascia il segno nel suo triennio a Stamford Bridge, ma nella sua prima stagione con i Blues conquista il titolo nazionale. L’anno successivo conquista la Champions (2012-2013), poi l’Europa League in quello dopo (2013-2014). Ad agosto del 2014 passa in prestito al Milan (una sola rete nella sua parentesi in Serie A), poi a dicembre dello stesso anno fa ritorno nell’Atletico Madrid del Cholo Simeone. Perde ai rigori in finale di Champions nel derby contro il Real Madrid nel 2016, ma due anni dopo vince il suo primo trofeo internazionale con la sua squadra del cuore, conquistando l’Europa League grazie alla vittoria per 3-0 sul Marsiglia. Segna una doppietta nella sua ultima partita con l’Atletico, il 20 maggio 2018, congedandosi con un emozionante messaggio per i tifosi: “Quando ero piccolo, nessuno capiva perché a scuola volessi indossare la maglia dell’Atletico dopo una sconfitta. Sapevo cosa avrei dovuto sopportare, ma non mi importava, mi rendeva più forte. Sapevo che un giorno avremmo avuto una squadra capace di rappresentarci, ci sarebbe voluto molto lavoro ma alla fine ce l’avremmo fatta. Grazie a tutti i miei compagni che hanno combattuto con me in Segunda Division. E grazie per avermi fatto sentire così fortunato, non ho mai avuto bisogno di un titolo per sentirmi il giocatore più amato del mondo. Ho avuto bisogno di una carriera per trovarmi dove desideravo 11 anni fa ma vi assicuro che ne è valsa la pena”.

Alice Dionisi

Salah, Manè e Firmino fanno paura. Serve una rimonta di contropiede

Luca Fantoni – Hanno dimostrato quanto sono forti. Una settimana dopo, l’immagine degli anglosassoni che entravano da tutte le parti è ancora viva nella mente di tutti. Quando vennero all’Olimpico, nel 2001, davanti avevano Fowler e il futuro Pallone d’oro Michael Owen. Non due qualunque insomma. Ma li volete paragonare con Salah, Manè e Firmino? Solo nominarli incute timore. Lasciarli liberi di correre in campo aperto, all’andata, è stato un suicidio sportivo. Cinque i gol subiti, ma sarebbero potuti essere molti di più. La chiave tattica sarà riuscire a contrastarli, in qualche modo. Quasi sicuramente Di Francesco tornerà alla difesa a 4 e questo eviterà senza dubbio i duelli 1 contro 1 che tanto sono stati sofferti nel primo round. Molto importante sarà anche l’aspetto psicologico e la carica che l’Olimpico potrà dare alla Roma. Si è visto già contro il Barcellona e, probabilmente, contro il Liverpool l’atmosfera sarà, si spera solo sugli spalti, ancora più calda.

RIMONTE – Paradossalmente, nonostante il Barcellona sia la squadra più forte al mondo da qualche anno a questa parte, la rimonta con il Liverpool è potenzialmente più complicata. Lo stile dei blaugrana si adattava meglio alle caratteristiche della Roma. La squadra di Di Francesco basa il suo gioco sul pressing alto e sul recupero palla, tenendo la difesa quasi a centrocampo. Va invece in difficoltà quando è costretta a giocare il pallone. Messi, al contrario di Salah, tende a venire a prendersi dietro la palla e Suarez non ha la stessa velocità degli attaccanti dei Reds, di conseguenza per i giallorossi era più facile tenere la linea alta senza subire troppo. Contro la squadra di Klopp, mantenere la difesa a metà campo è un rischio troppo grande, come si è già visto. Al contrario di quel che si possa pensare, dovrà essere una rimonta di contropiede. Bisognerà cercare di far giocare il pallone al Liverpool e di essere spietati quando si riparte, con gli inserimenti dei centrocampisti che saranno fondamentali. Ci sarà bisogno di molta, moltissima corsa ed intensità perché altrimenti, se non giochi quei ritmi, non subire gol è un’utopia.

FATTORE CUORE – Una settimana fa dicevamo sperare, non credere. Vale lo stesso discorso adesso. La rimonta con il Barcellona è arrivata anche perché nessuno se l’aspettava, nessuno avrebbe mai creduto possibile recuperare 3 gol alla squadra più forte in Europa. La mancanza di pressione ha sicuramente recitato un ruolo importante nella leggerezza con la quale la Roma ha affrontato i quarti di finale. In tutta l’equazione che è stata descritta però, manca la variabile casuale, il fattore cuore. Quello che i giallorossi hanno dimostrato di avere contro il Barcellona e che tutti i tifosi hanno dentro. Lo stadio può dare una grande mano. Manè, qualche giorno fa, ha dichiarato che Anfield regala la miglior atmosfera del mondo. Forse, ma ancora non ha visto l’Olimpico pieno. 

Luca Fantoni

Un filo che lega Mersey e Tevere. 34 anni dopo è arrivato il momento della rivincita

Luca Fantoni – Questa è la partita. Sembrava che non ci sarebbe stata altra occasione per vendicarsi, eppure la vita ti offre sempre una possibilità di redenzione. Quella della Roma è arrivata. Sono passati 34 anni. I telefoni cellulari sono entrati nelle nostre vite, la Germania non è più divisa in due, Freddy Mercury ha consegnato alla storia della musica un brano come “The Show Must go on”. L’epicentro del calcio mondiale è tornato dalle parti di Madrid e Barcellona, il Liverpool ha vinto un’altra Champions League mentre la Roma si è dovuta accontentare di uno scudetto. È cambiato tutto, ma quella macchia è sempre rimasta nella vita di tutti i tifosi giallorossi. Niente si può avvicinare a quella delusione: né il rigore sbagliato da Baggio nel caldo torrido di Pasadena, né quel suicidio sportivo al via del Mare di Lecce nel 1986 e nemmeno la finale di Coppa Italia. Qui stiamo parlando della Coppa dei Campioni, un treno che, per una squadra come la Roma, passa una volta ogni 50 anni, forse due. Questa è la vera possibilità di vendetta, non come quelle dei primi anni 2000 dove si giocava in Coppa Uefa oppure nei gironi di Champions, questa è una semifinale.

IO C’ERO – Non capita tutti i giorni di giocare certe partite. Se si guarda al passato i presupposti sono tutt’altro che benauguranti. Dopo quella triste notte infatti, Roma e Liverpool si sono affrontate altre 4 volte e il risultato ha sempre sorriso agli inglesi. Solo una volta i giallorossi riuscirono ad imporsi ma fu inutile ai fini della qualificazione. Ci riuscirono ad Anfield Road, nella casa del nemico. L’Olimpico invece è rimasto stregato, come se quella notte si fosse creata una sorta di nube che, ogni volta che i Reds arrivano nella capitale, scende a coprire gli occhi dei giocatori romanisti, togliendo loro ogni possibilità di sognare. Questa è la premessa, ma effettivamente è difficile spiegare a parole il significato della partita di martedì. Sono molto più comunicanti le facce di chi quel match l’ha visto, dallo stadio o da casa. Qualcuno dice che il giorno dopo sia stato il più silenzioso che Roma abbia mai visto. È arrivato il momento di tornare a farla cantare e che coloro che erano allo stadio quel 30 maggio 1984 possano dire “Io c’ero”, stavolta per una serata memorabile.

TRA MERSEY E TEVERENon credere ma sperare. Bisogna farlo perché quest’anno la Roma ha regalato emozioni inaspettate. Questa stagione è l’ossimoro per eccellenza della tipica annata da romanisti. Normalmente Bruno Peres non avrebbe mai salvato quel gol sulla linea, la palla sarebbe finita in porta. Normalmente Facundo Ferreyrasarebbe arrivato su quell’ultimo cross e ci avrebbe buttato fuori, normalmente il Barçasarebbe venuto all’Olimpico, avrebbe fatto due gol, e ci avrebbe fatto tornare a casa con la consapevolezza che le cose non sarebbero mai cambiate. Eppure questa Champions League di normale non ha niente. Quello che è successo allo Stadio Olimpico contro il Barcellona esula da ogni possibile logica e ti obbliga a sperare. Ora il prossimo ostacolo si chiama Liverpool e l’ultimo atto sarà proprio in quello che è stato il teatro della più grande gioia e della più grande delusione europea. Bisogna sperare perché alla fine il Mersey è solamente un Tevere con il nome un po’ più fighetto, Anfield Road è solo un Olimpico che canta meno, e in campo si parte sempre dallo 0-0. “Here comes the sun” cantavano i Beatles, rimangono le ultime due notti poi, dopo 34 anni, è arrivato il momento di rivedere il sole.

Luca Fantoni

File nella Capitale per i biglietti Roma-Liverpool e quelli di Anfield. Primi tifosi arrivati domenica dopo il derby

Luca Fantoni – La voglia di Roma è tantissima. Se contro il Barcellona è bastato arrivare davanti ai Roma Store la mattina molto presto, questa volta contro il Liverpool, chi arriverà questa sera rischia di non prendere il biglietto. Le file sono già lunghe con i primi della lista che sono arrivati e dormono davanti al negozio addirittura da domenica, dopo il derby, con la speranza di poter acquistare un tagliando per la semifinale di Champions League.

LIVE

Ore 17:50 – Fuori dal Roma Store di Via del Corso si è creata una lunga coda di tifosi.

Ore 17:00 – Questo pomeriggio alle ore 16:00 è iniziata la prima fase di prelazione per i biglietti di Liverpool-Roma: al Roma Store di via del Corso si sono presentate poche persone. Da sottolineare però che per la seconda fase di prelazione, quindi per i soli possessori di almeno 3 biglietti su 4 per le gare Chelsea-Roma, Atletico-Roma, Shakhtar-Roma e Barcellona-Roma e di entrambi gli abbonamenti di campionato e 3 gare UCL 2017/18, alle ore 16:30 erano già 150 le persone in lista. Il Roma Store ha annunciato che quando si arriverà a quota 300 tifosi prenotati verranno bloccate le iscrizioni. Inoltre una singola persona può acquistare solamente 4 tagliandi.

Ore 16:00 – Per l’acquisto dei biglietti online la Roma si appoggia ad un provider che permette di gestire gli eventi ad alta affluenza. Sostanzialmente permette di ridirigere gli utenti, prima di entrare direttamente nel sito di vendita, quindi in questo caso asroma.com, su una propria pagina, una sorta di sala d’attesa. Ogni minuto vengono redirezionati gli utenti sul sito di vendite dei biglietti in base al carico dei posti disponibili. C’è monitoraggio costante con cui si alza o si abbassa il numero di utenti che ogni minuto si decide di far accedere all’acquisto. Concetto simile a quello della fila alle Poste: si prende il numeretto e si verrà chiamati quando sarà il proprio turno. Il vantaggio però è che, durante l’attesa, l’utente può svolgere qualsiasi attività: può anche chiudere il computer e aspettare che gli venga notificato per email quando è il proprio turno. Inoltre il programma calcola il tempo di attesa. Non si perdere il proprio posto in coda. Questo sistema è stato utilizzato anche per il concerto di Vasco Rossi e in generale è applicato a tutti gli eventi per i quali si prevede un grande volume di richiesta. La coda non esiste sempre, perché questo servizio è in grado di valutare, in base alla richiesta, se c’è necessità o meno di creare una coda. Durante l’attesa, si è inoltre avvisati sullo stato della vendita dei biglietti. Questa funzionalità al momento è sfruttata in Serie A solo dalla Roma e dall’Inter.

Ore 14:30 – Lunga fila anche alla Feltrinelli di via Ottaviano dove nella lista sono già arrivati al numero 26.

Luca Fantoni

2001, Liverpool-Roma 0-1. La prima e unica vittoria in Inghilterra è amara per i giallorossi

Luca Fantoni – Una vittoria. Questo è il misero bottino ottenuto dalla Roma su 16 partite in Inghilterra. È il 2001. I giallorossi si apprestano a vincere il loro terzo scudetto e, a metà febbraio, sono ancora impegnati sul fronte europeo, in Coppa Uefa. L’avversario agli ottavi di finale è il Liverpool allenato da Houllier e che può vantare in squadra giocatori come Heskey, un giovane Gerrard e, sopratutto, Michael Owen, pallone d’oro di quell’anno. All’andata, all’Olimpico, finisce 0-2 per i Reds grazie ad una doppietta proprio del “Wonderboy”. Una settimana dopo, nello storico Anfield, i ragazzi di Capello sono chiamati ad un impresa per ribaltare la qualificazione. L’allenatore friulano schiera il suo solito 3-5-2 con Antonioli in porta, Zebina, Zago e Samuel in difesa. Rinaldi e Candela agiscono sulle fasce, con il terzetto di centrocampo formato da Assunçao, Tommasi e Nakata. Davanti giocano Montella e Delvecchio. Gli inglesi si posizionano con un 4-4-2 con Westerveld tra i pali, Babbel, Carragher, Henchoz e Hyypïa in difesa, Barmby, Hamann, McCallister e Ziege in mezzo al campo, Heskey e Owen in attacco.

LA PARTITA – La Roma inizia subito forte, senza alcun timore riverenziale, conscia di dover recuperare un passivo di due reti. Nel primo tempo c’è un’occasione per parte. Prima Delvecchio calcia a lato, strozzando troppo il sinistro, poi Owen si divora il vantaggio a tu per tu con Antonioli. La seconda frazione si apre nel peggiore dei modi. Zebina trattiene in area Heskey e l’arbitro Aranda fischia, piuttosto generosamente, il calcio di rigore. Sul dischetto si presenta il “Wonderboy” che si fa però ipnotizzare dal portiere. I giallorossi passano dal possibile inferno al paradiso in dieci minuti. Al 69° infatti, Guigou, entrato poco prima al posto di Rinaldi, raccoglie una palla fuori area elascia partire un sinistro che si infila alle spalle di Westerveld. A quel punto Tommasi e compagni iniziano a credere alla rimonta e si buttano in avanti. A dodici dalla fine, il cross di Montella sbatte sul braccio di Babbel. L’arbitro fischia il rigore, per poi ripensarci pochi istanti più tardi ed assegnare soltanto calcio d’angolo, tra le proteste, giustificate, di tutti i romanisti. I Reds riescono a resistere all’assalto finale e si portano a casa una qualificazione che, a prescindere dall’errore arbitrale, si era decisa con la sconfitta per 2-0 all’Olimpico.

Allora si parlò di una vittoria “mutilata”. Un successo Mercoledì contro il Chelsea, al contrario, potrebbe dare uno sprint alla stagione della Roma e facilitare notevolmente il discorso qualificazione. Di Francesco era in panchina sedici anni fa, nella sfida di Anfield, e lo sarà anche a Stamford Bridge, stavolta per guidare i giallorossi, per dimostrare a tutti che, dopo Giulio Cesare e Guigou, qualcun altro è pronto a conquistare l’Inghilterra.

Luca Fantoni