Gianluca Notari – Da bambini, il mondo delle favole ha contribuito ad alimentare i nostri sogni e le nostre speranze. Le favole, nella maggior parte dei casi, seguono un intreccio lineare, definiscono da subito il buono e il cattivo e solitamente hanno un finale positivo che va incontro alle aspettative di chi legge o ascolta. Tuttavia, non sempre sono semplici come sembrano: sono frutto di un lavoro, quindi tempo e fatica. Ma quando è terminata, la favola assume caratteri magici in cui tutti, in un modo o nell’altro, riusciamo ad identificarci.
Applicando questo concetto al mondo del calcio, abbiamo vissuto tutti la gioia di prendere il pallone sotto braccio e correre al parco insieme agli amici, ammucchiare le felpe per delimitare la porta e sognare per un momento di vestire i panni del nostro idolo. È una gioia comune, semplice, condivisa da tutti gli appassionati di questo sport. Per questo, a molti è venuto naturale identificarsi nell’Ajax di Erik ten Hag: un gruppo di amici che come unico obiettivo ha quello di giocare a calcio, come facevamo noi quando eravamo bambini. Solo che noi ad un certo punto abbiamo smesso, loro no: qualsiasi sia il terreno di gioco, dal cortile di casa al Santiago Bernabéu, l’obiettivo è sempre quello di correre e divertirsi, proprio come quando eravamo piccoli noi. Ma come per le migliori favole, questa attitudine non nasce da un giorno all’altro: ha radici lontane, profonde, scolpite nel tempo.
Ciclicamente, quando una squadra raggiungere obiettivi importanti, in Italia si cerca di scimmiottarne il modello. Prima il Barcellona, poi la Spagna e la Germania campioni del Mondo, oggi l’Ajax: si riempiono pagine di giornali, si parla di tattica, di tecnica, ci si chiede se sia meglio puntare sui campioni o sul collettivo, senza mai rendersi conto che queste squadre, come le favole, sono costruite con lavoro, tempo e fatica.
“Loro si basano su tre pilastri: aspirazioni, conoscenza, condivisione. Io condivido con te e tu condividi con me, in modo tale da crescere tutti insieme, come collettivo“. A parlare è Andrea Bracaglia, preparatore atletico delle selezioni giovanili della Lazio, che nello scorso mese ha avuto la fortuna di vivere per una settimana intera al De Toekomst (Il Futuro, in olandese), la cittadella d’allenamento dell’Ajax. “Condivisione non significa solo all’interno del club, ma con tutte le squadre affiliate al movimento Ajax. Così si spiega la loro presenza capillare sul territorio: l’obiettivo è quello di creare un sogno“.
Il racconto di Bracaglia comincia proprio dal territorio: “I club affiliati all’Ajax sono 49: nove di prima fascia, che vuol dire che si trovano ad Amsterdam o lì vicino; 17 di seconda fascia, quelli presenti in Olanda; 23 di terza fascia, sparsi in tutto il mondo. Naturalmente l’occupazione territoriale ha un motivo: l’attività di scouting passa anche e soprattutto da qui, anche se esiste all’interno del club una missione sociale ben visibile: i tecnici dell’Ajax vanno spesso nelle scuole, nei quartieri degradati e nei parchi pubblici per promuovere l’attività motoria e i valori dello sport. Tutto gratuito“.
Dietro a tutto questo, c’è un progetto tecnico enorme: “Lo scouting è alla base: vengono organizzate sistematicamente delle giornate all’interno del De Toekomst per visionare i bambini. I più bravi entrano a far parte della Soccer School, una sorta di pre-academy che si svolge ogni domenica all’interno del centro sportivo che serve a prepararli per quando entreranno nell’Academy vera e propria. Una volta entrati a far parte del club, i nuovi giocatori vengono divisi per fasce d’età: la fascia 8-12 anni è la fase più importante, dove i ragazzi vengono iniziati al credo del club. Questa fase è chiamata I & the ball: l’obiettivo è quello di creare giocatori che sappiano dominare il pallone. Si lavora sulla tecnica di base, sulla visione periferica, sulla percezione spazio-tempo e sul problem solving, incentrando il lavoro su esercizi di 1 vs 1, 1 vs 2, 3 vs 2 e così via, in modo che l’attaccante sia in grado di saltare l’uomo e il difendente in grado di fermarlo. Questo si nota anche nelle partite della prima squadra: ten Hag sceglie spesso di lasciare tutti i suoi giocatori in 1 contro 1, sapendo che saranno i suoi ad avere la meglio. In questa fase, ogni giocatore dovrà migliorare le skills in cui è più bravo: se un calciatore è bravo nel dribbling, si cerca di spingerlo a provarlo sempre. Ai tecnici dell’Ajax è vietato dire cose come ‘non rischiare’ o ‘gioca semplice’“.
Il processo di crescita è dunque un percorso che comincia da piccolissimi e oltre a curare la dimensione collettiva si cerca di tirare fuori il meglio da ogni componente del gruppo: “Nelle categorie Under 8 e Under 9 i bambini hanno dei piccoli compiti da svolgere a casa, come palleggi o passaggi al muro. I genitori dei ragazzi li filmano e mandano il video al coach, il quale premia i migliori. Dall’Under 10 in poi, invece, sono liberi di decidere se fare i compiti o meno, anche se sono spesso spinti a farli dallo spirito di competizione che si crea con i compagni di squadra“.
Ci sono poi altri metodi per motivare i ragazzi a lavorare: “In ogni spogliatoio c’è una postazione fissa per ciascun giocatore e su ogni postazione c’è attaccata la figurina di chi la occupa con su scritti i punti forti e i punti deboli. Questo li stimola ad allenarsi e a migliorare le proprie carenze. Inoltre, c’è una bacheca con i compiti del mese: ad ogni esercizio corrisponde un punteggio. Il ragazzo che a fine mese avrà totalizzato più punti si esibirà alla Cruyff Arena prima di una partita della prima squadra, in modo da abituarlo da subito alla pressione dello stadio“.
Dopo questa prima fase, nella fascia d’età 13-16 si accede alla fase agonistica detta Youth Development: qui i valori e le competenze apprese vengono portate ad un livello e ad un ritmo più alti, sedimentando gli insegnamenti ricevuti nella fase precedente.
Infine, si arriva alla fase del Professional Development, l’equivalente della nostra Primavera. Ma la crescita non passa solo per il calcio: per tutto il percorso che va dall’Academy fino al professionismo, l’Ajax si occupa dei propri tesserati a tutto tondo: “I giocatori sono supportati dal centro clinico di ricerca e dalla scuola presente all’interno del De Toekomst per tutta la trafila delle giovanili. L’insegnamento è visto come centrale nell’arco della crescita dei calciatori: se il rendimento scolastico è scarso rischi di essere fatto fuori“.
Ma non è l’unico aspetto laterale su cui si lavora: “Cruyff diceva di aver imparato a giocare per strada, non su un campo di calcio. Adesso la situazione è opposta: i bambini toccano il pallone solo sui campi da gioco, nel resto del tempo non giocano a calcio. La ‘Cruyff Revolution‘ parte proprio da qui: quando lui era all’Ajax impose giornate di allenamento nei contesti più disparati. All’interno del De Toekomst ci sono diversi ambienti e almeno due volte a settimana viene cambiato l’ambiente in cui si allenano i giocatori: asfalto, sabbia, fango, bosco, campo in erba, sintetico ecc. Ogni terreno ha caratteristiche diverse: sull’asfalto farai di tutto per non cadere a terra, quindi svilupperai la forza e l’equilibrio; oppure, allenandoti in mezzo al bosco, la palla rimbalzerà sempre in maniera diversa, migliorando così il controllo del pallone. Ma non solo: a volte si allenano con le ciabatte infradito, oppure giocano partite a tre o quattro squadre contemporaneamente in campo“.
C’è anche un altro aspetto su cui Bracaglia si sofferma, la multilateralità: “Gli allievi dell’Ajax – dice ironicamente – sono più bravi nel judo che nel calcio. Lo fanno da quando sono bambini: serve a migliorare l’equilibrio, la forza e la mira nel calciare in porta, ma soprattutto toglie la paura di farsi male nei contrasti“. Ma il judo non è l’unico sport che i Lancieri praticano oltre al calcio: “Pallavolo, tennis, nuoto, baseball – dove i portieri lanciano con le mani e gli altri usano i piedi al posto delle mazze -, climbing, ginnastica ritmica, ping pong, squash con i piedi: ognuno di questi sport porta benefici alla crescita fisica e mentale del ragazzo“.
Questi sport a volte funzionano anche come fucina di idee: “C’è una cosa che fanno che non avevo mai visto: usano l’ordine delle cinture del karate applicato ai piedi. Mi spiego: ad ogni piede è assegnato un colore in base alle capacità. Se un ragazzo è bravo con il destro e scarso con il sinistro, sullo stinco destro avrà il salvapelle di colore nero, su quello sinistro sarà arancione. In questo modo, tutti i calciatori vogliono arrivare al nero su entrambi i piedi e si impegnano per migliorare. Ma non solo: ogni giocatore tenderà a servire il compagno sul piede forte per metterlo nelle migliori condizioni. C’è un livello di attenzione incredibile“.
Sempre riguardo ai tipi di allenamento paralleli al campo, ce n’è uno davvero particolare: “Negli ultimi anni stanno sperimentando la Virtual Reality. Pensano che osservando un’azione fatta bene si attivino le stesse mappe neuronali di quando la si esegue. In pratica si allenano stando fermi“.
Visto che parliamo da oltre mezz’ora, chiedo a Bracaglia di scegliere un ultimo argomento da trattare. Mi risponde: “La tattica“. Io gli faccio notare che su quello noi italiani siamo imbattibili, ma lui mi dice che: “I principi sono diversi da quelli su cui si lavora in Italia: ci si concentra molto sul recupero palla nel minor tempo possibile, sulla superiorità in zona palla in entrambe le fasi, sulla densità in mezzo al campo, sul dribbling, sull’anticipo e sull’inizio dell’azione dalla difesa. Se vedi l’Ajax giocare te ne accorgi, i principi sono gli stessi: lo fanno da quando hanno 8 anni“.
Se pensavate che le favole fossero un gioco da ragazzi, sbagliavate di grosso. O forse no.
Gianluca Notari