Pagine Romaniste (F. Belli) – Roma-Lazio, 11 gennaio 2015. I giallorossi secondi in classifica guidati da Rudi Garcia rimontano un doppio svantaggio grazie a una doppietta di Totti. Gol in spaccata, selfie, miracolo di De Sanctis all’ultimo su Klose e tanto altro. Il vero show però è sugli spalti. Prima del match la Curva Sud dà vita a una delle più belle coreografie di sempre: 16 volti storici del club innalzati sopra uno striscione che recita: “Figli di Roma, capitani e bandiere. Questo il mio vanto che non potrai mai avere“. Tutti giocatori formidabili che si sono contraddistinti per il loro attaccamento alla maglia, una fedeltà cieca che vale loro appunto la denominazione di “capitani e bandiere”. Due di questi volti però raccontano una storia diversa: Giorgio Carpi e Giuliano Taccola. Due giocatori che non hanno giocato insieme neanche 100 partite in Serie A. E allora perché sono stati scelti? Oggi raccontiamo la storia di Giorgio Carpi. Nasce a Verona nel 1909 da una famiglia aristocratica, col padre Andrea che entra nella dirigenza del Roman club portando tutta la famiglia con se nella Capitale. La Roma ancora non esiste. Il padre sarà uno di quei dirigenti favorevole alla fusione con la Fortitudo e l’Alba Roma che porterà alla nascita, nel 1927, dell’Associazione Sportiva Roma, nonostante morirà pochi mesi prima in un incidente stradale. Giorgio era la stella del Roman, e per questo fu uno dei pochi della sua squadra selezionato anche nella nuova società. Rimarrà alla Roma, prima da giocatore e poi ricoprendo vari incarichi dirigenziali, fino al 1959.
La scelta d’amore e il primo derby capitolino
Non percepisce mai uno stipendio: il suo attaccamento è tale da farlo giocare senza compenso, accontentandosi del rimborso spese. E’ vero, se lo può permettere, ma il suo gesto è comunque straordinario. Non era un campione, e non a caso trova pochissimo spazio in prima squadra. Il “signorino”, così chiamato per le origini nobili e il portamento di alta classe, ha fatto una scelta: quella di rimanere ai margini. Riesce comunque a togliersi una bella soddisfazione: gioca la partita d’inaugurazione di Campo Testaccio contro il Brescia, recuperando il pallone da cui poi nasce il primo gol storico di Volk. E poi c’è anche un altro episodio. Così il giornalista Vittorio Finizio racconta la sua estasi e quella di altri compagni dopo il primo derby vinto, con gol di Volk: “Tripudi, osanna e scarrozzata finale in Via del Gambero, dove era la rinomata bottiglieria Farneti. Farneti era stato magnate dell’Alba, non aveva digerito la fusione, si era fatto laziale. Ed ecco pronti Carpi, Bibbitone, Degni e naturalmente Attilio Ferraris IV passargli e ripassargli davanti in carrozza, con facce da luna piena. Questo era il clima di quel primo derby capitolino!”. Un romanista vero, pronto a festeggiare in prima linea. Ed è per questo che il signorino era in quella coreografia, perché il tempo passa ma i sentimenti restano. E non vengono dimenticati. Pagine Romaniste (F. Belli)