Le imprese della Roma in Europa: lo spareggio con l’Hibernian

Alice Dionisi – La regola dei gol fuori casa non ha sempre portato bene alla Roma. A volte è bastato il piede destro di Bruno Peres sulla linea della porta, altre invece la rete fatale è arrivata quando eravamo già pronti a festeggiare, in attesa soltanto del triplice fischio. Prima ancora dell’introduzione della norma da parte della UEFA, in caso di parità c’erano gli spareggi. I giallorossi hanno anche affidato il loro destino al lancio di una monetina, non sempre atterrata dal lato giusto. Se nella stagione 1960-61 fossero esistiti gli “away goal” la Roma non avrebbe portato a casa la Coppa Delle Fiere.

Era il 27 maggio del 1961 e sulla panchina sedeva Alfredo Foni. Nel doppio confronto con l’Hibernian in semifinale arrivarono due pareggi: 2-2 in Scozia e 3-3 in casa. Il torneo reclamava una finalista e venne estratto lo stadio Olimpico per la terza gara supplementare. Tra le mura amiche, davanti ai suoi tifosi, i giallorossi riuscirono nell’impresa che consentì loro di proseguire il cammino che li portò al primo trofeo europeo della storia del club.

Dopo essere rimasto a secco nella gara d’andata all’Easter Road di Edimburgo, Pedro “Piedone” Manfredini segnò una doppietta nella gara di ritorno. Al bomber argentino però non bastavano più neanche le triplette -quelle si limitava a segnarle alla Lazio in campionato-, così nella partita decisiva all’Olimpico realizzò quattro gol in meno di 60 minuti. La prima arrivò subito dopo il fischio d’inizio, poi ancora al 10’, al 35’ e al 57’. Manfredini aprì le danze al trionfo della Roma, Menichelli e Selmosson si unirono per firmare il definitivo 6-0 sugli scozzesi. Panetti in porta negò all’Hibernian anche la mera consolazione di finire sul tabellino dei marcatori dal dischetto: la vittoria fu tutta a tinte gialle e rosse.

L’assenza della regola dei gol in trasferta permise alla Roma di disputare la finale di Coppa Delle Fiere contro il Birmingham. Quella finale, poi, la Roma la vinse. Questa però è un’altra storia.

Alice Dionisi

Le imprese della Roma in Europa. Il cammino in Coppa dei Campioni, il Dundee United

Alice Dionisi – Vincere è sempre bello. Vincere quando tutti ti danno già per sconfitto però lo è ancora di più. Dopo aver conquistato il secondo scudetto nella stagione 1982-83, la Roma l’anno successivo disputa per la prima volta la Coppa dei Campioni. I giallorossi allenati da Nils Liedholm nella loro prima apparizione tra “i grandi” affrontano e sconfiggono gli svedesi del Göteborg, i bulgari del CSKA Sofia e i tedeschi della Dinamo Berlino.

DOCCIA FREDDA AL TANNADICE PARK

In semifinale è Roma-Dundee. In Scozia, l’11 aprile 1984, finisce 2-0 per i padroni di casa, davanti a 3.000 tifosi in trasferta. I giallorossi, senza Falcão, al Tannadice Park subiscono le reti di Dodds e Stark. Una doccia fredda per chi, come il presidente Dino Viola, aveva creduto in un sorteggio fortunato contro “i pescatori”. Il sogno della finale allo Stadio Olimpico diventa chimera. Oltre il danno, la beffa; a fine partita la squadra tornò negli spogliatoi accompagnata dagli insulti: “Italian bastards”.

LIBERAZIONE

Il ritorno si gioca il 25 aprile. I giallorossi chiedono e ottengono il permesso di giocare il pomeriggio, un orario insolito e una temperatura alla quale i campioni di Scozia non erano abituati. L’arbitro Vautrot annulla un gol a Bruno Conti, ma poi ci pensa Roberto Pruzzo. O Rey di Crocefieschi impiega 17 minuti per azzerare il vantaggio del Dundee, al 21’ segna di testa su azione da calcio d’angolo, poi replica al 38’. Nella ripresa McAlpine atterra Pruzzo, il fischietto francese indica il dischetto: è calcio di rigore. La responsabilità di tirare se la prende il capitano, Agostino di Bartolomei. È 3-0, la rimonta è servita. Nella festa generale di uno Stadio Olimpico che registrava il record di presenze, Sebino Nela volle prendersi una rivincita in più, andando a mostrare il dito medio all’allenatore McLean che non si era risparmiato le offese nella gara d’andata. Non era il Barcellona di Messi e Iniesta e la Roma non partiva da un netto 4-1 a sfavore. La voglia di rivalsa, però, era la stessa. La “Romantada”, parte 1.

Alice Dionisi

 

Le imprese della Roma in Europa: Coppa Uefa 90/91

Alice Dionisi – Della ventesima edizione della Coppa Uefa, quella della stagione 1990/1991, la maggior parte dei tifosi ricordano lo sfortunato epilogo nella doppia finale contro l’Inter, ma il cammino della Roma per arrivare in fondo alla competizione merita di essere ricordato. È l’anno in cui la società passa dalle mani di Dino Viola, a quelle della moglie Flora, che poi conduce la trattativa per la cessione del club a Giuseppe Ciarrapico. È l’anno in cui sulla panchina giallorossa siede Ottavio Bianchi, giunto nella Capitale dopo quattro anni al Napoli, ma soprattutto dopo la conquista del primo scudetto della storia dei partenopei. È l’anno in cui l’organico della squadra viene arricchito dall’arrivo di Aldair, ma anche la stagione al termine della quale Bruno Conti appenderà gli scarpini al chiodo, ritirandosi dal calcio giocato. È l’anno in cui la Roma vince la Coppa Italia contro la Sampdoria campione d’Italia e, appunto, arriva a disputare la finale di Coppa Uefa contro l’Inter di Trapattoni.

Europa

Il cammino dei giallorossi inizia contro il Benfica. Nella doppia sfida contro i portoghesi arrivano due vittorie per 1-0 che permettono alla squadra di accedere alla fase successiva. Nei sedicesimi di finale è il turno del Valencia, dopo un pareggio in Spagna per 1-1, il ritorno all’Olimpico vede la Roma imporsi per 2-1, grazie alle reti di Giannini e Völler (capocannoniere della competizione). Il tedesco volante si rende protagonista anche della fase successiva: una tripletta nella gara d’andata contro il Bordeaux, vinta per 5-0, e un gol in quella di ritorno, finita 2-0. Un 7-0 complessivo contro i francesi apre le porte ai quarti di finale, dove quattro squadre su otto sono italiane, insieme ai giallorossi e all’Inter ci sono anche Atalanta e Bologna. Gli avversari sono i belgi dell’Anderlecht, reduci dalla finale di Coppa delle Coppe l’anno precedente e che nella stessa stagione conquistano il titolo nazionale. La gara d’andata allo stadio Olimpico vede la Roma imporsi per 3-0, un successo firmato da Desideri, Völler e Rizzitelli. Il ritorno al Constant Vanden Stock Stadium di Bruxelles vede splendere, ancora una volta, l’attaccante tedesco. Un’altra tripletta, che rende vane le due reti segnate nel finale da Kooiman e Lamptey. Così il cammino della formazione allenata da Ottavio Bianchi prosegue fino alle semifinali, dove incontra i danesi del Brøndby. Nei primi 90 minuti il punteggio resta fisso sullo 0-0, poi arriva il successo in casa per 2-1. Dopo il gol di Rizzitelli, l’autorete di Nela fa tenere il fiato sospeso ai tifosi sugli spalti per 25 minuti, ma all’87’ è sempre Völler a risolvere la partita e trascinare la Roma in finale.

Maledizione Olimpico

Questa storia però, purtroppo, non ha un lieto fine. Nella prima partita, disputata al Meazza, l’Inter si impone per 2-0, sbloccando la partita grazie ad un rigore dubbio assegnato dall’arbitro russo Spirin, trasformato da Matthäus e seguito dal raddoppio di Berti. Il ritorno si gioca in casa, il 22 maggio del 1991, in uno Stadio Olimpico tutto esaurito. Il gol arriva troppo tardi, all’81’ va a segno Ruggiero Rizzitelli, regalando ai giallorossi l’illusione di poter ancora conquistare i supplementari. La seconda rete non arriva e i nerazzurri, pur uscendo sconfitti, conquistano la Coppa Uefa. Le mura di casa ancora una volta sono teatro della disfatta. “Una finale che ancora oggi non digerisco– ha commentato in seguito Rizzitelli-. In quel torneo facemmo un cammino straordinario, anche in quelle due partite meritavamo di vincere la coppa. Il nostro errore fu San Siro, non eravamo come l’Inter, squadra esperta di queste competizioni. Voglio ricordare quel rigore concesso per cui qualcuno urla ancora allo scandalo, possiamo urlarlo anche noi. Dopo il rigore eravamo ancora a protestare, loro hanno segnato di nuovo. Nel ritorno ce la mettemmo tutta, presi subito un palo, se avessi segnato subito sarebbe stata un’altra storia. Questa coppa volevamo dedicarla al grande presidente. Mi fa male, ancora. Sono immagini che non voglio mai vedere. È dura, non riesci mai a dimenticare, era una cosa che volevamo tutti e non ci siamo riusciti. Ci abbiamo messo l’animo, il cuore, non ce l’abbiamo fatta”.

Alice Dionisi

 

Portieri a confronto: Pau Lopez domina su Mirante e Fuzato, ma il rendimento è da metà classifica

(S. Valdarchi) – In attesa che il campionato possa ripartire e nella speranza di portare a termine la stagione calcistica 2019/20, analizziamo le statistiche dei giocatori della Roma fin qui. Per ogni ruolo, vedremo, in base ai dati, i migliori calciatori giallorossi per rendimento. Partiamo con quella che probabilmente è la posizione più delicata nel mondo del calcio: il portiere. Dei tre estremi difensori a disposizione, Paulo Fonseca nelle gare ufficiali ne ha utilizzati soltanto due: Pau Lopez ed Antonio Mirante. La titolarità tra i pali l’ha guadagnata lo spagnolo, arrivato in estate dal Real Betis a fronte di 23,5 milioni di euro. Il terzo portiere a disposizione Daniel Fuzato, a Roma dal 2018, non ha ancora fatto il suo esordio in prima squadra.

Pau Lopez

Al primo anno in Italia, il rendimento di Pau Lopez è stato nel complesso positivo. Le prestazioni di un portiere, come sempre, dipendono molto dalla tenuta difensiva della sua squadra e, in questo campionato, la formazione di Fonseca non è stata eccezionale in quanto ad azioni subite. Guardando alla Serie A, la Roma dopo 26 giornate ha concesso 35 reti (tutte con Pau Lopez in campo), risultando l’ottava difesa italiana. Aggiungendo le 9 gare di coppa (Europa League e Coppa Italia) in cui lo spagnolo è sceso in campo, si arriva a 43 gol subiti. Per quanto riguarda i così detti clean sheet, le partite terminate senza reti al passivo, Pau ne ha collezionati 9, di cui 5 in Serie A, in stagione su 34 presenze, con una percentuale pari al 26,5%. Ritornando nei confini del campionato, il numero 13 romanista ha effettuato 79 parate, di cui molte decisive, basti pensare alle due sui campi di Bologna e Genoa. Non sono mancati, come ovvio, anche alcuni errori nel corso del suo percorso, il più evidente e fresco nei ricordi dei tifosi è quello nell’ultimo derby, in occasione del pareggio di Acerbi. Episodio però, viziato da una carica non sanzionata dal direttore di gara. Infine, dal dischetto, il classe ’94 ha subito 7 gol, parando un rigore a Joao Pedro (che ha ribadito in rete sulla ribattuta), nell’ultima gara giocata dalla Roma a Cagliari, prima dello stop alle competizioni.

Mirante

L’estremo difensore campano, fin qui, ha disputato tre gare, due in Europa League ed una in Serie A. Delle due partite europee, nell’ultima in casa contro il Wolfsberger è stato costretto ad abbandonare il campo dopo un’ora di gioco, per un’infortunio al menisco. Nei 240′ tra i pali, Antonio Mirante ha subito 2 reti (1 gol ogni 120 minuti), entrambe contro il Wolfsberger tra andata e ritorno, mentre ha terminato con la porta inviolata la trasferta di Milano contro l’Inter. La Roma, con Mirante in porta, ha ottenuto 3 pareggi, per una media perfetta di un punto a partita.

Confronto

Per avere qualche termine di paragone e poter valutare al meglio le prestazioni di Pau Lopez, consideriamo altri numeri dalle altre squadre di Serie A. La classifica di parate è guidata da Etrit Berisha, della SPAL, con 117 salvataggi effettuati. Questo dato però risulta piuttosto sensibile alla capacità della propria formazione di non concedere molte conclusioni agli avversari. La peggior difesa, invece, risulta essere quella del Lecce. I salentini hanno subito 56 reti in 26 partite, per una media di 2,15 gol ogni 90 minuti. La miglior difesa, invece, è quella della Lazio, con 23 gol subiti. Per quanto riguarda i clean sheet, è Donnarumma il portiere ad averne portati a casa il maggior numero: 10; seguito da SilvestriStrakosha e Musso a quota 9. Infine, una curiosità: Antonio Mirante, avendo disputato una sola gara in campionato (Inter-Roma 0-0), guida la classifica delle porte inviolate in percentuale, con il 100%.

(S. Valdarchi)

Le imprese della Roma in Europa: il Chelsea, notte da lupi

Alice Dionisi – Champions League 2017/2018. L’opinione pubblica dopo i sorteggi è abbastanza chiara, “Girone di ferro per la Roma” che dovrà affrontare l’Atletico Madrid del Cholo Simeone e il Chelsea di Antonio Conte, con gli azeri del Qarabag a rendere un po’ meno spaventosa la fase a gironi. Nelle gare di andata i giallorossi allenati da Eusebio Di Francesco pareggiano in casa contro gli spagnoli 0-0, vincono a Baku 2-1 e pareggiano 3-3 allo Stamford Bridge.

AGGHIACCIANTE

Il ritorno contro i Blues si gioca il 31 ottobre, la notte di Halloween. La Roma affila le unghie e scende in campo sul prato dello stadio Olimpico con la voglia di riscattare il pareggio di Londra, che andava un po’ stretto. 40 secondi dopo il fischio d’inizio dell’arbitro Eriksson, El Shaarawy sale in cattedra: Kolarov, poi Dzeko che fa sponda di testa per il Faraone, è 1-0, un vero e proprio “eurogol”. Gli uomini allenati da Conte ci provano, ma Alisson in porta abbassa la saracinesca, non si passa. Al 36’ Rüdiger fa un regalo ai suoi ex compagni e manda di nuovo in porta il numero 92 che coglie l’occasione e firma la doppietta, El Shaarawy come Vucinic nel 2008. Si va a riposo sul 2-0, ma lo spettacolo non è ancora finito. Nella ripresa è Perotti a chiudere i conti, el Monito al 63’ segna il 3-0 definitivo. Una serata “agghiacciante” per Antonio Conte.

DOLCETTO, NESSUNO SCHERZETTO

La ciliegina sulla torta ce la mette il Qarabag, che ferma l’Atletico Madrid in casa pareggiando 1-1. Nella notte delle streghe a fare paura sono i lupi (e i faraoni). Di Francesco domina Conte, il Chelsea mette il travestimento da fantasma. La Roma è prima nel suo girone, gli avversari non sembrano più così proibitivi. Non sarà la sconfitta al Wanda Metropolitano a fermare la squadra, la vetta resta giallorossa, il lasciapassare per gli ottavi è quello delle “big”. L’inizio di un sogno da campioni.

Alice Dionisi

La meglio gioventù – Alessio Cerci: dal fallimento in Spagna alla Salernitana, con la costante Ventura

(S. Valdarchi) – La carriera di Alessio Cerci ha disegnato nel corso degli anni una parabola che ha conosciuto il suo punto più alto nelle due stagioni al Torino, dal 2012 al 2014, con un rendimento che ha portato l’Atletico Madrid, uno dei club europei più importanti in quel momento, ad investire su di lui. Dall’esperienza in Spagna in poi, invece, la traiettoria è diventata discendente, facendo girare il talento di Valmontone tra Hellas Verona, neopromossa in Serie A, e Turchia, fino alla Salernitana, squadra che attualmente detiene il suo cartellino.

Gli inizi

Nato nel 1987, l’attaccante esterno cresce nel Valmontone, prima di passare alla Roma nel 2003. In giallorosso completa il suo percorso nelle giovanili, vincendo lo Scudetto Primavera nel 2004/05 ed arrivando ad esordire in prima squadra il 16 maggio del 2004, gara che coincide con l’ultima panchina di Fabio Capello nella Capitale. Essendo ancora molto giovane, rimane a disposizione di mister De Rossi fino al 2006, riuscendo comunque a collezionare altre 4 presenze con la Roma tra Serie A e Coppa Italia. Terminata la sua trafila nel calcio giovanile, la società romanista decide di mandarlo in prestito per fargli fare esperienza. Così, per tre stagioni consecutive, Alessio Cerci gioca lontano da Trigoria, pur rimanendo di proprietà del club capitolino. Dopo i due campionati passati tra i cadetti con Brescia e Pisa, il mancino trascorre un’annata in Serie A con l’Atalanta. Tra questi tre prestiti, quello in Toscana risulta sicuramente il più felice dal punto di vista dei risultati, considerando i 10 gol e 9 assist (al netto di un infortunio che l’ha tenuto fermo per due mesi) con i quali termina il campionato di Serie B 2007/08. Non è un caso che al Pisa le cose siano andate così bene; ad allenarlo infatti c’è Gian Piero Ventura, tecnico che lungo la carriera di Cerci si è dimostrato forse l’unico in grado di tirargli fuori il meglio.
Una volta terminati gli anni in prestito, l’ala rimane a Roma nel 2009/10, stagione segnata dall’avvicendamento in panchina tra Luciano Spalletti e Claudio Ranieri, e l’esaltante rincorsa Scudetto, fallita ad un passo dal traguardo con la sconfitta firmata Pazzini. In quell’annata comunque Cerci trova spazio nelle fila romaniste, riuscendo a scendere in campo per 19 volte e siglando i suoi primi, ed ultimi, 3 gol in giallorosso.

Esaltazione e caduta

Chi conosce un po’ di astronomia sa che i pianeti vivono diverse fasi nella loro vita e tra queste ce ne sono due chiamate esaltazione e caduta. Senza inoltrarci oltre in un campo così lontano dal calcio, anche la carriera di Alessio Cerci è stata caratterizzata da due momenti simili, molto vicini tra loro. Partito da Roma nell’estate del 2010 a titolo definitivo, l’attaccante gioca per due stagioni alla Fiorentina. Nonostante i rapporti complicati con la tifoseria viola, Cerci decide nel 2011 di rifiutare il passaggio al Manchester City, guidato all’epoca da Roberto Mancini. Dopo Firenze approda al Torino, e nei granata ritrova Gian Piero Ventura. In Piemonte le sue prestazioni migliorano ancora, ed il tecnico guida il Toro al ritorno in Europa nel 2014, dopo 19 anni di esilio. A quel punto, l’esterno scuola Roma è ricercato da molti club europei, tra cui l’Atletico Madrid, squadra per cui firma nel luglio dello stesso anno. I Colchoneros, in un periodo di forma straordinaria, sono reduci da una delle finali di Champions League perse contro i cugini del Real. Quella in Spagna sembra poter rappresentare la svolta definitiva nel percorso di Cerci, ma le cose per lui si mettono male e lo spazio a disposizione è poco. Rimane sotto contratto con l’Atletico per tre anni, durante i quali torna in Italia per due esperienze, non esaltanti, in prestito al Milan ed al Genoa. Il fallimento nella penisola iberica rappresenta la fine dell’ascesa del classe ’87, che di lì a breve si ritrova all’Hellas Verona, neopromossa in Serie A, per poi andare in Turchia, nel MKE Ankaragucu.

Ancora tu

Ci sono carriere di giocatori che sono indissolubilmente legate ad alcuni tecnici. Per Alessio Cerci, come già detto, l’allenatore più importante nel corso degli anni è stato, senza dubbio, Gian Piero Ventura. Nel suo ormai famoso 4-2-4, l’attaccante romano ricopre il ruolo di esterno, riuscendo ad esaltarsi e risultando determinante per gli equilibri della squadra. Dopo averlo scoperto nel Pisa e lanciato definitivamente nel Torino, il tecnico genovese ha ritrovato il suo pupillo la scorsa estate, quando Cerci è passato alla Salernitana di Claudio Lotito. Il rendimento non è quello degli anni migliori, ma l’ex CT dell’Italia ha recentemente dichiarato: “Dopo due anni senza giocare era davanti ad una montagna da scalare. Mi ha sorpreso, perché non ha mai mollato e la montagna l’ha scalata a mani nude. Mi basterebbe averlo all’80%“.

(S. Valdarchi)

Un club a sostegno della città

Alice DionisiLa Roma c’è. Dall’inizio della pandemia, la società si è resa partecipe di numerose iniziative benefiche a sostegno non solo dei tifosi, ma di tutti i cittadini. Attraverso la Fondazione Roma Cares il club ha raccolto più di 500.000 euro, devoluti a favore dell’Ospedale Lazzaro Spallanzani nella lotta contro il Coronavirus. Dopo la donazione di 50.000 euro del presidente James Pallotta, che ha contribuito all’acquisto dei ventilatori polmonari per le Terapie Intensive, i campioni presenti e passati del club hanno deciso di scendere campo verso un obiettivo comune, per sensibilizzare i cittadini ed invitarli a donare in favore della struttura ospedaliera. Con i fondi raccolti, la società è stata in grado di finanziare l’acquisto di otto ventilatori polmonari, otto letti per la Terapia Intensiva e oltre 45 mila presidi sanitari.  A fine marzo Roma Cares ha iniziato, tramite le apette targate Roma, la distribuzione di pacchi contenenti generi di prima necessità per gli abbonati over-75, non solo generi alimentari, ma anche presidi sanitari utili nel periodo di emergenza. Il club si è poi attivato per consegnare oltre 13 mila mascherine chirurgiche e flaconcini di gel igienizzante per le mani negli ospedali, prima di iniziare una vera e propria campagna social in cui omaggia i veri eroi: i medici. In un momento delicato, la società ha voluto portare un sorriso anche ai piccoli tifosi in occasione della Pasqua, iniziando la distribuzione delle uova pasquali per tutti gli abbonati Under 10, con la partecipazione diretta dell’amministratore delegato Guido Fienga e dell’ex campione Vincent Candela. La Roma ha poi messo in vendita 500 maglie da gara in edizione limitata, le quali riporteranno il logo “Assieme”, nome della nuova campagna lanciata a supporto della fondazione Roma Cares nelle attività per contrastare il Covid-19. Il COO del club, Francesco Calvo, precisa che la fondazione è già in contatto con la Regione Lazio e la Protezione Civile per offrire il massimo sostegno, attraverso i fondi raccolti, nelle prossime fasi della pandemia. È poi proseguita la consegna di mascherine e gel igienizzante anche per i cittadini, con la distribuzione di oltre 32mila mascherine lavabili e riutilizzabili fino a 30 volte. La Roma raccoglie consensi e il presidente Pallotta ne tesse le lodi: “Non potrei essere più orgoglioso di Roma Cares. Molti club dovrebbero utilizzare singolarmente e collettivamente la loro voce per buone cause, perché quando succede i risultati ci sono. Noi non siamo solamente una squadra in campo” ha dichiarato al Corriere Dello Sport il numero uno giallorosso.

Alice Dionisi

Rewind Roma-Juventus, da “Stai zitto, so 4, va a casa” al pollice verso di Nainggolan

Alice Dionisi – Restiamo in Piemonte ma cambiamo avversario, passando dal Torino alla Juventus. Il bilancio contro i bianconeri è decisamente negativo, nell’arco di 192 partite disputate la Roma è riuscita a vincere 47 volte, a fronte dei 92 successi degli avversari e di 53 pareggi. La prima vittoria avviene dopo qualche anno, ma arriva in grande stile: un sonoro 5-0 allo Stadio Olimpico nel 1931, ad opera di Fulvio Bernardini, Nicolas Lombardo, Rodolfo Volk e Cesare Fasanelli. Nel 2001 invece, il pareggio per 2-2 in rimonta, ad opera di Nakata e Montella, permette ai giallorossi di conquistare il terzo scudetto. La classifica finale in quella stagione vede la Roma prima a 75 punti, con la Juventus seconda a 73, e le reti di Del Piero e Zidane avrebbero potuto essere fatali. I trasferimenti tra le due squadre nel corso degli anni non sono mancati: due volte Fabio Capello ha lasciato la Capitale per andare ai bianconeri, prima nel 1970, da calciatore, poi nel 2004, da allenatore. L’ultimo scambio sull’asse Vinovo-Trigoria è stato la scorsa estate, con l’arrivo di Spinazzola in giallorosso e la cessione di Luca Pellegrini, ma andando a ritroso nel tempo ci sono stati Pjanic, Benatia, Vucinic ed Emerson tra i giocatori in partenza per Torino, Perrotta e Boniek invece tra quelli che hanno scelto la Roma dopo le esperienze in bianconero.

AMICI MAI

La rivalità con la Juventus non è cosa recente, i bianconeri hanno negato lo scudetto ai giallorossi più volte: nella stagione 2016/17 non basta il record di punti (87), la squadra allenata da Spalletti vedrà i bianconeri vincere il titolo con soli 4 punti di vantaggio. Nel 1985/86 la clamorosa sconfitta della Roma a Bari nella penultima giornata di campionato consegna alla Vecchia Signora il suo 22esimo tricolore. Ad andare a segno il maggior numero di volte contro la Juventus è stato Francesco Totti con 10 gol, uno dei quali è arrivato nello storico 4-0 del “Zitto, so 4, va’ a casa”. È l’8 febbraio del 2004 è la Roma è a pari punti con i bianconeri, al secondo posto, alle spalle del Milan. La vittoria travolgente, firmata due vote da Cassano, da Dacourt e dal capitano, permette ai padroni di casa il sorpasso sulla formazione allenata da Lippi, con Pelizzoli tra i pali che nega a Trezeguet il gol dal dischetto.

DZEKO, 1 DI 102

Nella seconda giornata del campionato 2015/16 la Roma affronta in casa i campioni in carica della Juventus. Il primo scontro diretto premia i giallorossi, che riescono a conquistare i 3 punti grazie al 2-1 rifilato agli avversari. La bandiera della vittoria è a tinte bosniache, a segnare i due gol decisivi infatti sono stati Pjanic, che ha sbloccato la partita con una punizione impeccabile che lascia Buffon immobile tra i pali, e Edin Dzeko, alla sua prima rete con la maglia della Roma. L’anno successivo, alla 36sima giornata di Serie A, Luciano Spalletti nega ad Allegri e i suoi di festeggiare il titolo davanti ai tifosi presenti allo Stadio Olimpico. Il gol di Lemina porta in vantaggio la formazione ospite, ma 4 minuti dopo ci pensa De Rossi a ristabilire la parità. Nel secondo tempo le reti di El Shaarawy e Nainggolan chiudono definitivamente la partita, con il belga che esulta dando uno schiaffo virtuale agli avversari e col pollice verso. Nemici da una vita.

Alice Dionisi

 

 

 

La meglio gioventù – Stefano Okaka: l’attaccante giramondo che fece impazzire la Sud con un gol di tacco

(S. Valdarchi) – La carriera di Stefano Okaka si preannunciava come quella di un predestinato, corteggiato da grandi club europei fin da piccolo e bomber indiscusso nelle categorie giovanili. Ma come spesso accade, la fisicità a quell’età influisce molto sulle previsioni e sulle valutazioni, illudendo i più, ma non riuscendo poi ad affermarsi ad alti livelli.
Nato a Castiglione del Lago nell’agosto del 1989 da genitori nigeriani, Okaka arriva alla Roma nel 2004, segnalato a Bruno Conti da Zbigniew Boniek. I giallorossi riescono ad assicurarsi le sue prestazioni, battendo la concorrenza di Aston Villa e Milan. Da lì parte il suo percorso al Fulvio Bernardini.

Record dopo record

Dopo una decina di partite disputate con gli Allievi, Alberto De Rossi lo porta con sé nella Primavera e nel 2004/05 Okaka sigla 20 reti, aiutando la Roma a conquistare il titolo di Campione d’Italia. Il centravanti umbro detiene il record come marcatore più giovane del Torneo di Viareggio. Tale primato non rimane l’unico nella sua carriera per molto; visti gli ottimi risultati ottenuti con la formazione di De Rossi, la convocazione ed il debutto in prima squadra non tardano ad arrivare. Il 29 settembre 2005, in occasione di un Aris Salonicco-Roma di Coppa Uefa, diventa il più giovane italiano ad esordire nelle competizioni europee. L’8 dicembre dello stesso anno, invece, diventa il più giovane marcatore nella storia della Coppa Italia, andando in rete in un Napoli-Roma 0-3. Rimane a Trigoria fino all’estate del 2007, prima di essere mandato in prestito al Modena.

Il suo straordinario “Arrivederci Roma”

Da quel momento in poi, Stefano Okaka trascorre 5 anni come tesserato della Roma, vestendo le maglie di altrettanti club in prestito (Modena, Brescia, Fulham, Bari e Parma), tra Serie BA e Premier League. I risultati in queste compagini sono vari, con esperienze esaltanti, come le prime in Italia, ed altre meno. I ducali nell’estate del 2012 riscattano il classe ’89, acquistandolo a titolo definitivo, ma il trasferimento che resta più nel cuore e nella mente dei tifosi romanisti è, probabilmente, quello al Fulham; non tanto per i risultati ottenuti in Inghilterra, quanto per l’ultimo atto nella squadra romana prima della partenza. È il 30 gennaio 2010 e la Roma, impegnata nella rincorsa Scudetto all’Inter, sfida in casa il Siena. La gara è bloccata sull’1-1 e Ranieri, con Totti, Vucinic e Toni in tribuna per vari infortuni, nel secondo tempo inserisce Okaka al posto di Brighi. Il giorno dopo, a Fiumicino, c’è un aereo direzione Londra che lo aspetta per portarlo al Fulham, ma l’attaccante decidere di salutare il popolo romanista in gran stile. A due minuti dal termine del tempo regolamentare, il centravanti gira in porta con il tacco il pallone servitogli da Pit e corre verso la Curva Sud, rincorso da Daniele De Rossi che, con la solita vena gonfia, gli urla di tutto. Parole intuibili dal labiale, non trascrivibili in un articolo, e che riassumeremo con un semplice e stupito: “Ma che cosa hai fatto?”.

La Samp, la Nazionale ed il presente in bianconero

Negli anni successivi al suo passaggio al Parma, Stefano Okaka gira ancora molto, accostando esperienze all’estero con le maglie di Anderlecht e Watford, ad altre in Italia con Spezia, Sampdoria ed Udinese. I suoi anni migliori, senza dubbio, sono quelli che vanno dal 2013 al 2016, ai tempi di Sampdoria ed Anderlecht. In queste due esperienze, Okaka viene messo al centro del progetto e, giocando con una certa frequenza, torna ad affinare il suo feeling con la porta avversaria. I risultati ottenuti in rossoblù gli permettono anche di arrivare a vestire la maglia della Nazionale, sotto la guida tecnica di Antonio Conte. Disputa 4 partite con l’Italia, tra il 2014 ed il 2016, segnando il gol vittoria al debutto, in un’amichevole contro l’Albania. Dal gennaio del 2019 ad oggi, l’attaccante scuola Roma è sotto contratto con l’Udinese ed il suo rendimento in Friuli è promettente: 11 reti in 38 gare. Uno stato di forma che ha portato Stefano a confessare recentemente in un’intervista di auspicare ad una convocazione da parte del CT Mancini, per gli Europei in programma nel giugno del 2021.

(S. Valdarchi)

La meglio gioventù – Andrea Bertolacci: un romano a Genova. Dagli inizi al Lecce all’estate da svincolato

(S. Valdarchi) – Il salto dalla Primavera al professionismo è tutt’altro che semplice, le carriere di diversi calciatori ne sono la prova. Altri invece riescono ad affermarsi ad alti livelli, ma pur essendo cresciuti nella squadra della propria città, la squadra per la quale da sempre fanno il tifo, non riescono mai a debuttare con quei colori. È il caso di Andrea Bertolacci, nato a Roma l’11 gennaio del 1991. Centrocampista dotato di un’ottima tecnica, entra a far parte del settore giovanile romanista nel 2006 e ci rimane per quasi quattro stagioni, giocando per un anno e mezzo con la Primavera di Alberto De Rossi. Il suo cartellino, in alcuni momenti diviso in comproprietà, resta della Roma fino al 2015, ma Bertolacci non ha ancora mai giocato un minuto con la società capitolina.

Tra Lecce e Genoa

Nel gennaio del 2010, la Roma decide di cedere in prestito per 18 mesi Bertolacci al Lecce, squadra allora in Serie B. Nella prima mezza stagione in Puglia, il classe ’91 disputa 6 gare e partecipa alla promozione dei salentini nella massima categoria. Nella stagione successiva arriva l’approdo in Serie A, con 9 presenze totali, numeri che convincono lo stesso il Lecce a riscattarlo. Il club romano però fa valere il diritto di contro-riscatto, concedendo ai pugliesi un altro prestito, questa volta secco, dalla durata annuale. Il 2011/12 rappresenta il campionato della sua consacrazione e termina con 28 apparizioni all’attivo e 3 reti, una delle quali proprio in un Roma-Lecce terminato 2-1.
Nell’estate del 2012 rinnova il suo contratto con la Roma, prolungando per 5 anni, ma viene ceduto a luglio al Genoa, in comproprietà. Rimane in rossoblù per 3 stagioni, giocando da titolare in un club di media-classifica e varcando la soglia delle 100 presenze in Serie A. In Liguria però si comincia a notare la sua tendenza ad infortunarsi, caratteristica che lo ha portato nella sua carriera a fermarsi 15 volte per problemi muscolari.

Gli anni a Milano e l’estate da single

Il 23 giugno del 2015, il ds romanista Walter Sabatini riscatta la metà del suo cartellino per 8,5 milioni di euro, prima di cederlo qualche giorno dopo al Milan per 20 milioni, all’interno dell’operazione che porta in rossonero anche Alessio Romagnoli.
Il primo anno a Milanello rimane ad oggi probabilmente il più felice della carriera di Bertolacci. Sinisa Mihajlovic lo considera una pedina fondamentale nel suo scacchiere tattico ed arriva a vestire con una certa regolarità anche la casacca azzurra della Nazionale. Dalla stagione successiva, invece, lo spazio il Lombardia per lui si riduce, fatto che porta la società a cederlo in prestito nel 2017, ancora una volta al Genoa.
Dopo l’ennesima parentesi genoana, il centrocampista romano resta a disposizione del Milan fino a giugno 2019, scendendo in campo però soltanto in quattro occasioni, tutte in Europa League. Il suo contratto viene portato a scadenza e trascorre l’estate da svincolato di lusso.

Alla ricerca del riscatto

I mesi passano, ma l’offerta giusta tarda ad arrivare e la stagione 2019/20 inizia con Andrea Bertolacci ancora senza una squadra. Le cose però cambiano in fretta e, ad inizio ottobre, arriva un’altra chiamata da Genova, questa volta sponda blucerchiata. Il classe ’91 firma con la Sampdoria un contratto con scadenza al giugno del 2020 ed esordisce il 20 ottobre al Ferraris, nel pareggio a reti bianche contro la Roma. Da quel momento in poi, Bertolacci gioca altre 6 gare sotto la guida di mister Ranieri, fino allo stop del calcio dovuto dal Coronavirus.

(S. Valdarchi)