Roma, quanti errori con il Real Madrid. E l’infermeria è sempre più piena

Simone Burioni – Poteva essere la partita della svolta, invece è stato solamente un altro buco nell’acqua. Certo, sembra strano avere recriminazioni in un Roma-Real Madrid, ma le tante occasioni sprecate e gli errori grossolani lasciano ai tifosi sensazioni di amarezza che difficilmente riusciranno a mandar giù.

Ci sono stati, però degli aspetti positivi: il primo da annoverare è sicuramente quello del passaggio agli ottavi di Champions. Nel pomeriggio, la vittoria del Plzen sul campo del CSKA Mosca aveva infatti sancito il passaggio al prossimo turno sia dei giallorossi che dei blancos, che all’Olimpico si giocavano il primo posto e con questo la possibilità di affrontare, nel turno successivo, una squadra più abbordabile rispetto ai top club europei.
Altra nota positiva sono state alcune (poche) prestazioni individuali: Under, fino all’erroraccio nel finire di primo tempo, ha giocato su livelli discretamente alti dimostrando una certa affidabilità. Conferme sono inoltre arrivate da Zaniolo, decretato unanimemente come migliore in campo, e da Florenzi, che ha coperto bene e attaccato con continuità nonostante gli avversari che si ritrovava di fronte non fossero dei più facili da affrontare. In ripresa anche Cristante, nonostante sia ancora lontano da quello ammirato nella scorsa stagione.

Passiamo alle note dolenti. Il primo punto è che la difesa continua a traballare: oltre ai meccanismi collettivi che necessitano di una profonda revisione, gli errori individuali cominciano ad essere un problema non più trascurabile. Prima Jesus in Udinese-Roma, ieri lo sciagurato retropassaggio di Fazio: così diventa troppo facile per gli avversari e troppo difficile per i giallorossi. Specialmente se quando vai in attacco poi non la butti dentro: tante le occasioni sciupate dalla squadra di Di Francesco, su tutte quella di Under, che non può permettersi leggerezze in nessun momento, figurasi con il Real Madrid.
Ultimo aspetto da dover considerare sono gli infortuni: nelle ore prima della gara la Roma ha saputo di non poter contare su Dzeko, fermato da un fastidio muscolare, mentre durante il match si è fermato anche El Shaarawy. Entrambi, saranno difficilmente recuperati per la partita di domenica contro l’Inter.

La situazione in infermeria si fa sempre più critica, così come quella in campo. Di Francesco è chiamato a trovare soluzioni, ed in fretta anche: il tempo passa e la Roma non può permettersi ulteriori passi falsi.

Simone Burioni

Un segno di rossetto contro la cultura del bomber

Simone Burioni – In un sabato di pioggia, oltre all’acqua, a piovere sono le accuse contro la Roma, che perde 1-0 a Udine e compie un passo indietro rispetto alla vittoria contro la Sampdoria. Unica nota positiva, anche se passata sotto traccia, la manifestazione contro la violenza sulle donne. In occasione della giornata mondiale contro questa indicibile pratica, i giocatori della Roma, dell’Udinese e anche la squadra degli arbitri hanno sfoggiato un segno rosso di rossetto sulla guancia sinistra proprio in segno di vicinanza verso la donna, spesso vittima di una cultura che troppo spesso la relega ad un ruolo subalterno.

Per molti sarà stato un frivolo segnale di disturbo che interrompe la linea retta dell’attenzione tra poltrona e televisore, altri non l’avranno neanche notato, mentre altri ancora avranno pensato ad un’inutile perdita di tempo. In effetti, cosa c’entra il calcio con la violenza sulle donne?

Eppure, la cultura del machismo e del bomberismo, che ha le proprie basi nelle più becere menti del tifoso medio, si è resa spesso complice silente di un immaginario in cui la donna è arredo del salotto televisivo in cui si discute di un rigore o di un fuorigioco, o che ha reso il calcio femminile un ‘non sport‘. Oppure, più comunemente, la donna nel calcio è sempre stata il perfetto corredo all’idolo sportivo di turno, rapace in area di rigore così come a letto.
Veline, letterine, modelle, wags: ce n’è sempre stato per tutti i gusti, dalla mora alla bionda, dallo stile nostrano a quello esotico. Ciò che nel mondo del calcio invece non c’è mai stata, per la donna, è la dignità.
Risale a poche settimane fa il volantino distribuito nella Curva Nord della Lazio, la zona più calda – e a quanto pare più stupida – della tifoseria biancoceleste, in cui veniva ordinato alle donne di non posizionarsi nelle prime dieci file del settore poiché il tifo è roba da uomini, che non siamo mica al centro commerciale. Oppure, non sono rari i commenti da parte di aitanti ragazzoni che, nei profili delle sezioni femminili di alcuni club di Serie A come Roma e Juventus, si improvvisano cabarettisti di second’ordine twittando cose come “la domenica dovreste stare in cucina” o “tornate a stirare le camicie“.
Ogni commento a questo tipo di esternazione risulta superfluo. Probabilmente, non è con una striscia di rossetto sulla guancia che si combatte questo genere di subumani (che speravamo ormai estinto nel terzo millennio). La speranza, però, è che almeno qualcuno, seduto sulla poltrona di casa o sul seggiolino dello stadio, abbia notato quel segno rosso sul viso e, per un momento, sia stato fiero di essere profondamente diverso dallo spettatore seduto al suo fianco.

Simone Burioni

Bella Napoli, ma è il Torino la prova di maturità

Gianluca Notari – Parliamoci chiaro: alle 20.44 ci saremmo presi anche un pareggio. “Ma magari“, pensavano alcuni. Fortunatamente, tra questi non c’erano De Rossi e compagni, che hanno creduto fin dall’inizio in questa splendida vittoria. Napoli-Roma 2-4, non erano molti quelli pronti a scommetterci. Anzi.
Certo certo, senza il gol di Dybala probabilmente sarebbe stata un’altra partita. Però oh, il calcio è anche questo, prendere o lasciare. E noi, oggi, ce lo prendiamo volentieri.

LETTURA – La cosa che salta all’occhio dell’atteggiamento della Roma di ieri sera è certamente la lettura dei momenti: guidati dall’illuminata serata di mister Di Francesco, i giallorossi hanno saputo alternare fasi di pressing alto a momenti di baricentro basso, pronti ad aspettare il Napoli per poi ripartire. Ed è proprio con le ripartenze che i capitolini hanno colpito e affondato la prima della classe. Prima il rocambolesco gol di Under, viziato da una deviazione decisiva di Mario Rui. Poi la capocciata di Dzeko, con cross al bacio di Florenzi. Di nuovo Dzeko, dribbling secco e sinistro a giro. Infine Perotti, che ringrazia Rui per il goffo tentativo di rinvio del portoghese che spalanca la porta al monito.

TORINO – Proprio Perotti cerca di freddare i facili entusiasmi: «Prima di tutto non dobbiamo rilassarci troppo con questa vittoria, non abbiamo fatto nulla. E’ successo già altre volte che abbiamo fatto un buon risultato e poi perdiamo punti. Dobbiamo essere consapevoli che non abbiamo fatto nulla e finire la stagione al meglio». Eh si, perché tante volte la Roma ci ha dimostrato che la continuità è spesso manchevole, nelle prestazioni prima e nei risultati poi. Venerdì ci sarà il Torino, che dopo un ottimo periodo successivo all’esonero di Mihajlovic e all’ingaggio di Mazzarri sta vivendo un momento di flessione. Una gara ampiamente alla portata dei giallorossi, specialmente di quelli visti ieri sera, nonostante le assenze a cui dovranno far fronte. Due per la precisione: Fazio e Dzeko, entrambi diffidati ed entrambi ammoniti, salteranno il match contro i granata.

SCELTE – Contro il Toro ci si aspetta dunque qualche volto nuovo rispetto a quelli scesi in campo al San Paolo, visto soprattutto l’impegno di Champions League con lo Shakhtar Donetsk della settimana prossima, con la Roma chiamata a ribaltare il 2-1 subito in Ucraina. Spazio a Jesus in coppia con Manolas, e possibile esordio dal primo minuto per Jonathan Silva, tornato ormai da una settimana ad allenarsi con il resto del gruppo, con Kolarov a rifiatare in panchina. Possibile turno di riposo anche per Nainggolan, con Pellegrini al suo posto al fianco di De Rossi. Confermato Strootman, che sta trovando una certa continuità nelle ultime prestazioni, così come Under, punto di riferimento ormai nell’attacco di Di Francesco. I dubbi più grandi sono legati agli altri due ruoli del tridente giallorosso: Perotti, nonostante il gol del momentaneo 4-1, non è sembrato poi così in forma; pronto El Shaarawy al suo posto, che scalpita per un posto da titolare dopo diverse panchine e la tribuna di Kharkiv. A fare le veci di Dzeko, invece, dovrebbe esserci Schick: l’ennesima chance che il ceco dovrà essere bravo a sfruttare. L’ambiente Roma si aspetta moltissimo dall’acquisto più costoso della sua storia, e sarebbe ora che il talentuoso classe ’96 cominci a dare risposte concrete, anche in vista della prossima stagione. Così come la Roma, affinché quella di Napoli non rimanga una vittoria bella ma inutile.

Gianluca Notari

Emerson Palmieri: un infortunio di troppo e una bella storia da raccontare

Gianluca Notari – Tutto è bene ciò che finisce bene. Così si è soliti dire quando, tutto sommato, i danni non superano i vantaggi. Ed è così che si può dire riguardo al mercato della Roma, conclusosi con una cessione ed un acquisto. Un terzino sinistro per un altro, uno brasiliano e l’altro argentino. Emerson Palmieri si è ufficialmente accasato al Chelsea per una cifra di circa 25 milioni di euro, realizzando una plusvalenza non da poco, visto che era stato acquistato dai giallorossi per 2 milioni – meno di un decimo della cifra a cui è stato rivenduto -. In questa stagione Emerson aveva indossato la maglia porpora solamente due volte, per appena 105 minuti. Complice la rottura del legamento crociato subito il 28 maggio scorso, nella partita contro il Genoa, che però non gli aveva impedito di entrare in campo a fine gara per rendere omaggio a Francesco Totti, alla sua ultima volta con il 10 sulle spalle.

La parabola dell’italobrasiliano nella Capitale ha assunto con il passare dei mesi le sembianze di un miracolo sportivo: arrivato come oggetto misterioso dal Santos – dopo una precedente esperienza in Italia al Palermo -, con Garcia non vede praticamente mai il campo di gioco. Poi l’avvicendamento in panchina tra il francese e Spalletti, il quale intravede in lui subito qualcosa di speciale, su cui lavorare ma soprattutto su cui scommettere. Ma la prima volta sembra dar torto al tecnico di Certaldo. Nella gara di ritorno dei playoff di Champions League contro il Porto, Emerson entra in campo spaesato, nervoso, e la sua prestazione ne risente: dopo aver preso il posto in campo di Paredes, dopo appena 9 minuti rimedia un rosso diretto per un brutto intervento ai danni del messicano Corona. Un altro rosso, per la verità, visto che prima di lui era stato espulso anche De Rossi per un’entrata killer su Maxi Pereira. Roma in 9, 0-3 il risultato finale. Addio Champions. Decisamente non il miglior modo di iniziare una stagione.

Ma il classe ’94 non si lascia abbattere, ed in sinergia con il proprio allenatore confeziona una stagione memorabile, fatta di tante buone partite, diverse ottime prestazioni e qualche gol, di cui uno splendido contro il Villarreal in Europa League. La Roma, anche quell’anno, non vincerà nulla, ma la sensazione che rimane è che la squadra sia forte, fortissima, perché altrimenti non si fanno 87 punti in campionato. Come detto prima, però, l’infortunio complica non poco l’inizio della stagione corrente. Poi l’offerta dei Blues e i conti in rosso: Monchi e colleghi accettano, e tanti saluti.

Su Jonathan Silva, il nuovo acquisto giallorosso arrivato dallo Sporting, si sa poco. Tanta gavetta in Argentina, la prestigiosa maglia del Boca, il salto in Europa, un paio di apparizioni con la Selecciòn. Niente più.
La sensazione di fronte al suo annuncio è stata simile a quella che fu quando venne reso noto l’ingaggio di Emerson.
A ‘sto punto, speriamo anche il seguito.

Gianluca Notari

Inter-Roma, intervista a Riccardo Ferri

Gianluca Notari – Riccardo Ferri, ex difensore di Inter e Sampdoria e attuale opinionista di Premium Sport, è stato intervistato dai microfoni della nostra redazione. Naturalmente, argomento principe dell’intervista è stata la gara di San Siro tra Inter e Roma. Le sue parole:

La partita tra Inter e Roma di questa sera è stata dipinta da molti come uno spareggio per la Champions League. Sei d’accordo?
E’ una partita che probabilmente non rappresenta il bivio finale, ma è certo che conti molto, specialmente per queste due squadre che prima della sosta avevamo lasciato l’impressione di aver perso un po’ le proprie caratteristiche, chi per convinzione, per fisicità o per velocità di manovra. E’ chiaro che questa partita può riaccendere un po’ di consapevolezza in entrambe. Detto questo, Inter-Roma è sempre stata una partita molto combattuta, dove le due squadre vorranno imporsi. La Roma è una squadra aggressiva, che ti attacca molto alta e che vuole sempre fare la partita, mentre l’Inter è molto brava a rispondere con delle ripartenze in velocità. Ricordando la partita d’andata, immagino che la Roma vorrà rifarsi, dopo una gara che l’ha vista un po’ delegittimata: colpì tre pali e fu certamente molto più protagonista dell’Inter. C’è curiosità di capire in che modo sarà affrontata la partita, sia dal punto di vista tattico che nell’atteggiamento.

Hai una tua idea riguardo alla flessione che entrambe le squadre hanno avuto?
Credo sia abbastanza fisiologico, anche se in maniera differente. La Roma arrivava da una stagione da protagonista, dove ha chiuso il campionato al secondo posto e, anche se eliminata ai preliminari in Champions League, ha portato al termine una stagione importante nonostante le diverse problematiche: il caso Totti, ad esempio, o altri piccoli problemi che dovevano essere gestiti all’interno dello spogliatoio. Dall’altra parte c’è un Inter neonata, con un progetto nuovo nato quest’estate. E’ cambiato l’allenatore, sono cambiati diversi giocatori, mentre quelli che c’erano lo scorso anno non avevano reso come invece stanno rendendo oggi: questo è senza dubbio merito di Spalletti. Inoltre, la partenza è stata davvero inaspettata da tutti: nessuno pensava che l’Inter potesse avere un tale approccio. Poi c’è stato un calo fisiologico probabilmente dettato dal fatto che la rosa è molto corta. Gli interpreti dall’inizio dell’anno sono quasi sempre gli stessi, specialmente sulle fasce che sono quelle che forniscono i palloni per Icardi, che se non fornito bene rimane isolato.

Credo che non ci siano dubbi sul fatto che il filo conduttore di questa partita è rappresentato da Luciano Spalletti…
Assolutamente. L’impressione che ho avuto su di lui fino ad oggi è estremamente positiva, ma lo era già lo scorso anno quando allenava la Roma. Lì vedevo un allenatore lasciato alla deriva, e che combatteva contro tutto e tutti portando avanti le proprie convinzioni. Partendo dall’inizio, quando Dzeko era spesso individuato come un problema, Spalletti lo ha sempre difeso fino all’ultimo, e Dzeko ha risposto con la cattiveria e la personalità che l’allenatore gli chiedeva. E poi il caso Totti, non facile da gestire. Per questo ho apprezzato molto Spalletti, perché nonostante le difficoltà è riuscito a non perdere di vista l’obiettivo finale che era quello della squadra, e non dei singoli. Non era facile, anche perché ho spesso avuto l’impressione che fosse lasciato solo dalla società che non aveva naturalmente intenzione di schierarsi contro Totti. La piazza per questo lo vedeva spesso come un nemico, ma lui ha portato a casa la stagione centrando l’obiettivo del secondo posto. Quest’anno  arrivato all’Inter, e come ho detto prima è stato determinante nel riportare alcuni giocatori su dei livelli altissimi: Perisic, Candreva, Handanovic, Icardi, Miranda. E poi gli acquisti, scelti in comune accordo con la società: Skriniar, Borja Valero, Vecino, tutti giocatori importanti. Questo mi sembra la dica lunga sulla qualità di questo allenatore.

Corsa scudetto: è ormai una questione tra Juventus e Napoli o pensi che Inter e Roma possano ambire al titolo fino all’ultimo?
Credo che il nostro sia un campionato 11 contro 9: 11 squadre che lottano per il titolo e per i posti per l’Europa e le altre 9 che lottano per non retrocedere. Al di là di questo, penso che fino alla fine Juve, Napoli, Inter, Roma e Lazio lotteranno per i primi 4 posti. Certo, al momento mi viene da pensare che Juventus e Napoli lotteranno per il titolo con le altre tre a scontrarsi per il terzo ed il quarto posto, a meno di clamorose sorprese. Mi auguro che a calare non siano Roma ed Inter: in quel caso la Lazio, vincendo il recupero, potrebbe lottare in maniera importante per un posto Champions.

Classifica finale per le prime quattro posizioni?
Vedo Napoli, Juventus, Inter e Roma. Ma la Lazio mi spaventa molto, specialmente dal punto di vista fisico, quindi vedo una Lazio equivalente a Roma e Inter: saranno queste tre a giocarsi gli ultimi due posti valevoli per la Champions fino a fine campionato. Fondamentali, in questo senso, saranno gli scontri diretti, come sono sempre stati. Già la partita di oggi potrebbe dire tanto: se l’Inter vincesse andrebbe a 45 punti, e toglierebbe inoltre un po’ di convinzione a questa Roma che è squadra davvero molto forte.

Gianluca Notari

Champions League, dopo 7 anni sarà ancora Roma contro Shakhtar

Gianluca Notari – Sono andati in scena a Nyon i sorteggi per gli ottavi di Champions League. Fortunate, ma non fortunatissime, le italiane: la Juventus, prima estratta dall’urna, ha pescato il Tottenham, mentre la Roma, dopo 7 anni, ritrova lo Shakhtar Donetsk. Non la peggiore combinazione possibile, per carità, ma l’attenzione verso un avversario abituato a solcare i campi europei dovrà essere massima.

IL PRECEDENTE – Per i giallorossi, l’ultimo ricordo legato agli ucraini non è dei migliori. In occasione degli ottavi di Champions della stagione 2010-2011, la squadra allenata da Ranieri perse per 3-2 il match di andata all’Olimpico, perdendo anche la seguente gara di ritorno con un secco 3 a 0, quando in panchina sedeva però Vincenzo Montella. Rispetto a quel doppio confronto, però, è cambiato tutto: quanto per lo Shakhtar che per i capitolini.

SHAKHTAR – Gli ucraini hanno dato continuità al loro progetto di ibridazione della squadra, proseguendo ad importare talenti dal Brasile, la cui colonia in maglia neroarancio è ormai da anni una costante. Furono proprio i brasiliani, nel 2011, a dare il colpo di grazia alla Roma: dei 6 gol complessivi segnati dai minatori, ben 5 portavano firma verdeoro. Willian, Jadson, Douglas Costa, Eduardo e Luiz Adriano segnarono una rete ciascuno tra il match di andata e quello di ritorno, oltre al gol del difensore ceco Hubschmann. Oggi, nonostante alcuni di quei giocatori lì abbiano preso strade dorate verso i grandi club europei, lo Shakhtar Donetsk continua a ballare samba e a bere mate. Oggi, infatti, la squadra continua ad avere un alta concentrazione di brasiliani in squadra: 8, per la precisione.
Quello che tra di loro si è messo più in mostra è senza dubbio Fred, il metronomo di centrocampo scuola Internacional di Porto Alegre che tanto piace a Guardiola. Quest’ultimo, secondo i rumors, avrebbe già pronta per lui un’offerta monstre di 70 milioni di euro. Non male. Ma non è l’unico degno di nota.

La forza della squadra di Fonseca è senza dubbio nel reparto offensivo, e anche qui, guarda un po’, si parla portoghese. Specialmente sugli esterni: Marlos e Bernard sono infatti i titolari che giocano, rispettivamente, alla destra e alla sinistra del puntero Ferreyra. No, lui è argentino.
Per il primo dei due i riflettori del grande calcio si sono accesi tardi. Nonostante sia un classe ’88, fino al 2012 Marlos giocava in Brasile, con la maglia del Coritiba prima e del San Paolo poi. Dopodiché la chiamata dall’Ucraina, precisamente dal Metalist. In maglia gialloblù due anni e tante buone prestazioni, che gli valgono il passaggio allo Shakhtar per 8 milioni di euro, nell’estate del 2014.
Diverso invece il discorso per Bernard. Una carriera vissuta da predestinato, quella del classe ’92, quando con la maglia dell’Atletico Mineiro attirava su di sé gli sguardi di tutti i maggiori club europei. Eppure, nonostante l’enorme attenzione attorno al suo nome, nel 2013 lo Shakhtar Donetsk lo strappa alla concorrenza con un’offerta da 25 milioni di euro. E’ insieme a Fred la punta di diamante di questa squadra: destro di piede, è solito giocare partendo dalla sinistra per poi rientrare e tentare il dribbling e il tiro in porta. Alto un metro e 64 appena, fa della sua leggiadrìa fisica la sua arma migliore: funambolico e rapido, con la palla al piede è difficile da stoppare, visto l’enorme tasso tecnico di cui è dotato.

IL CONFRONTO – Senza dubbio, quelli che si giocheranno il 21 febbraio ed il 13 marzo saranno due incontri equilibrati, tra due squadre con tanti difetti quante virtù. La Roma di Di Francesco, se forse difetta rispetto agli avversari nel tasso qualitativo della fase d’attacco, può vantare una solidità nel reparto difensivo garantita dalle prodezze di Alisson oltre che alla provata affidabilità della coppia di centrali. Cosa che invece manca agli uomini di Fonseca: Pyatov, storico portiere dello Shakhtar, è sempre stato individuato come il punto debole della squadra, confermando spesso le diffidenze nei suoi confronti con prestazioni tutt’altro che memorabili. Un’altra pecca della difesa degli ucraini è probabilmente la velocità: se questa è in un certo qual modo garantita dagli esterni bassi Butko (o Dodò) ed Ismaily, lo stesso non si può dire di Ordets e Rakitsky. Quest’ultimo, però, vanta una notevole qualità tecnica in fase d’impostazione, che gli permette di essere il vero regista basso della squadra, vista la propensione del compagno di squadra Fred a muoversi liberamente in tutto il campo, dicordando un po’ il lavoro che svolge Gundogan nel City di Guardiola (coincidenze?).

PROSPETTIVE – Lo Shakhtar Doentsk non è certamente cliente migliore da poter incontrare. In questa edizione di Champions League ha vinto in casa 3 partite su 3 (Feyenoord, Napoli e City – anche se quest’ultimo era già qualificato), concedendo però ben 9 gol: una media di 1,5 a partita, un dato decisamente positivo per una squadra in grado di sapersi difendere bene come la Roma. In conclusione, la sensazione che rimane è quella di una qualificazione alla portata dei giallorossi: un punteggio non troppo negativo al Metalist Stadium di Charkiv sarebbe un’ottima notizia, avendo la consapevolezza poi di potersi giocare il tutto per tutto in casa, in uno Stadio Olimpico che sogna di tornare a vivere importanti notti d’Europa.

Gianluca Notari

Atletico Madrid-Roma: le pagelle. Fazio il totem, incubo Bruno Peres

Gianluca Notari – Per la qualificazione erano buoni due risultati su tre, ma purtroppo è arrivata una sconfitta. Niente panico, la qualificazione è ancora ampiamente alla portata della Roma: battendo il Qarabag i giallorossi sarebbero matematicamente qualificati, ma se l’Atletico Madrid non dovesse vincere a Londra, De Rossi e compagni approderebbero comunque agli ottavi. Quella del Wanda Metropolitano è stata una partita combattuta, per lunghi tratti in equilibrio, sbloccata solamente da una prodezza di Griezmann, tornato al gol dopo quasi due mesi di digiuno con il club. Infine, Gameiro a chiudere i giochi, che insacca da posizione defilata dopo aver saltato Alisson, su imbucata dell’implacabile Griezmann. Una prova in generale degli uomini di Di Francesco sufficiente solo a tratti, ma che fortunatamente non compromette il buon lavoro fatto fin’ora.

LE PAGELLE

Alisson 5.5 – Incolpevole in occasione dei gol, riesce sempre a gestire il pallone con i piedi, seppur con un pizzico di fiducia in eccesso che lo porta spesso a rischiare la giocata.
Bruno Peres 4 – Il peggiore in campo. Manchevole in fase di spinta, dove sbaglia sempre la scelta, disastroso in fase difensiva: è dalla sua parte infatti che giunge il cross per il primo gol dell’Atletico. Per finire in bellezza, rimedia il secondo giallo che gli farà saltare la sfida decisiva contro il Qarabag.
Manolas 5.5 – Lontano parente del Manolas visto al derby: inizia la gara facendosi soggiogare da Torres come l’ultimo dei dilettanti, e subito dopo rimedia un giallo per una scivolata a metà campo – francamente inutile – su Augusto Fernandez.
Fazio 7.5 – Sontuoso, è il vero comandante della difesa giallorossa. Ci mette qualche minuto a prendere le giuste misure, ma la sua partita è un crescendo di chiusure e lanci millimetrici, spesso arricchendo il tutto con qualche dribbling spettacolare.
Kolarov 5.5 – Spinge in tandem con Perotti, perché è lì che la Roma riesce a sfondare, ma i suoi cross sono meno precisi del solito. Cala nel finale.
Pellegrini 5 – Spaesato, il giovane giallorosso non riesce a trovare la giusta posizione in campo per tutta la partita. Giustamente sostituito.
Gonalons 6 – La sua intelligenza tattica è superiore agli altri e si vede: il francese si propone sempre in appoggio ai compagni e smista con diligenza i palloni che riceve. Carente in fase di copertura, ma nel complesso prestazione sufficiente.
Nainggolan 6.5 – L’unico tiro che poteva impensierire Oblàk è il suo, che da posizione defilatissima prova a beffare il portiere sloveno ma sfortunatamente il pallone finisce sul palo. Per il resto tanta qualità e tanta corsa in ambedue le fasi. Il solito ninja.
Gerson 4.5 – Soffre dall’inizio della partita la prestazione di Filipe Luis, uno dei migliori dei suoi, e paga lo scotto di ‘novellino‘ su questi palcoscenici. Mai incisivo, sciupa due potenziali occasioni nel primo tempo. Evanescente.
Dzeko 5 – Stavolta non è neanche riuscito a fare il solito lavoro in appoggio alla squadra. Ha lottato, improvvisato un paio di dribbling, preso a spallate gli arcigni difensori ‘rojiblancos’, ma non è certo il migliore Dzeko. Inoltre, il gol manca da oltre un mese.
Perotti 6.5 – Il più pericoloso della Roma, nel primo tempo vince costantemente i duelli contro il terzino avversario, Thomas, che poi terzino non è: Perotti lo salta sempre, ma nell’ultimo passaggio non riesce mai a trovare il giusto guizzo. Rimane comunque l’unico ad impensierire la retroguardia avversaria.
dal 62′: Strootman 5.5 – Entra al posto di Pellegrini, ma non cambia di molto le cose.
dal 70′: Defrel 5.5 – Appannato, necessita di più continuità.
dal 78′: El Shaarawy sv – Entra appena in tempo per verificare che sì, le condizioni del campo lasciano a desiderare.
Di Francesco 5.5 – Questa volta il turover non paga: Pellegrini e Gerson subiscono la fisicità degli spagnoli, ma l’atteggiamento aggressivo è comunque costante per tutta la partita. Bene nella conferma di Fazio.

Gianluca Notari

La seconda vita di Diego Perotti: Argentina, Spagna, Italia e ancora Argentina

Gianluca Notari – La numerologia non è una scienza semplice. Anzi, a dirla tutta, non è neanche una scienza. E’ un attitudine, uno studio volto a trovare relazioni, di matrice mistica o esoterica, tra numeri ed eventi riguardanti esseri viventi o meno. Ci si può credere o no, ma senza dubbio alcuno ha i suoi lati interessanti.

Presumendo di non conoscere un giocatore, la prima azione istintiva è quella di cercarlo su internet. Aprendo la pagina Wikipedia di Diego Perotti, si legge: “Diego Perotti è un calciatore argentino, centrocampista o attaccante della Roma e della nazionale argentina“. Primo pensiero: questo è forte. Continuando a scrollare la pagina, si legge: “Presenze in Nazionale dal 2009: 2“. La particolarità è che anche suo papà Hugo, pure lui calciatore, ha indossato la maglia albiceleste solamente due volte. Ma il giallorosso, al contrario del padre, non si vuole fermare.

Diego Perotti nasce a Moreno, cittadina in provincia di Buenos Aires, il 26 luglio del 1988. Chi nasce lì, solitamente, è subito costretto a scegliere tra due squadre: Boca o River, non si scappa. Nel suo caso, però, la scelta fu quasi obbligata. Papà Hugo, nella sua breve e tormentata carriera, giocò per 7 stagioni con gli xeneizes, divise in due esperienze: la prima della durata di 5 anni, e la seconda di due, intervallate da una breve parentesi – senza tra l’altro mai scendere in campo – con l’Atletico Nacional de Medellìn. Durante le ultime stagioni in maglia Boca collezionò pochissime presenze, appena due. Ma prima di appendere gli scarpini al chiodo, giocò un’ultima stagione, con la maglia del Gimnasia La Plata. Naturalmente, anche qui, le presenze furono soltanto due.

Perotti inizia la sua carriera nelle giovanili del Boca Juniors, ma prima di fare l’esordio da professionista si trasferisce nel più modesto Deportivo Moròn. Dopo una prima stagione da protagonista, si trasferisce nella squadra B del Siviglia, per poi entrare a far parte in pianta stabile nella prima squadra nella stagione 2008-2009. In maglia rojiblancos, nelle quasi 6 stagioni giocate in Andalusìa, conquista due trofei: la Coppa di Spagna del 2010 e l’Europa League del 2014. Anche se, ad onor del vero, nella stagione 2013/2014 lasciò il Siviglia a gennaio, in seguito ai numerosi infortuni accusati nella prima parte di stagione. Così, il figliol prodigo torna a casa, “à la Boca”. Ma anche qui le cose non vanno come dovrebbero: le presenze sono poche, appena due (toh), e successivamente Perotti dichiarerà: “Dopo quella stagione al Boca Juniors pensai di smettere“. Ma la vita, a volte, ti concede una seconda possibilità. E vedendo le volte in cui il numero 2 ricorre nella vita di Perotti, non c’erano poi molti dubbi.

E la seconda chance del Monito si chiama Italia: “Il Genoa mi ha cambiato la vita“, ammetterà poi Diego. Contro ogni aspettativa, nella stagione 2014/2015 terrà una continuità di rendimento impressionante e, esaltato dal 4-3-3 di Gasperini, colleziona 28 presenze condite da 4 gol e ben 6 assist, attirando su di sé gli occhi delle big italiane, il Napoli su tutti: per ogni argentino, Napoli rappresenta la Terra Promessa, dove tutti sognano di ripercorrere le orme del Diez per eccellenza, Diego Armando Maradona. Invece, l’altro Diego, Perotti, rimane a Genova fino al gennaio 2016, quando si trasferisce a Roma. Il suo impatto con i giallorossi è formidabile: nelle 15 partite in cui forma un tridente formidabile con El Shaarawy e Salah, Perotti segna 3 gol e confeziona 7 assist. L’anno seguente diventa sempre più protagonista della squadra di Spalletti, regalando anche ai giallorossi l’accesso in Champions League all’ultima giornata, il giorno dell’addio di un altro numero 10, Francesco Totti.

Ora, dopo un inizio di stagione positivo nella nuova Roma di Di Francesco, arriva forse la sorpresa più inattesa: la convocazione in Nazionale. La prima volta era stato convocato da Maradona, nel 2009, mentre la seconda e ultima gara l’aveva giocata nel 2011, contro la Nigeria. La gioia di Perotti per una convocazione che mancava da più di 6 anni è stata incontenibile e prontamente ha postato sui social una sua immagine in maglia albiceleste con le parole: «Tra cose buone e cose cattive, ma la vita e il calcio mi hanno mostrato che non devi mai arrenderti o abbassare le braccia. Vamos Argentina!»

La voglia di continuare a stupire è tanta, così come la voglia di ricordare a papà Hugo che il numero due, in fondo, è solamente un numero, e che la vita è pronta sempre a darti un’altra chance. Chi si ferma è perduto, anche se di cognome ti chiami Perotti.

Gianluca Notari

Ancora la Champions, ancora Edin Dzeko

Gianluca Notari – Stimolante. L’aggettivo che più si utilizza per descrivere le gare di Champions League è stimolante. Vero, si può pensare. Giocare in grandi stadi, gloriosi e storici, contro avversari di fama mondiale, dev’essere senz’altro stimolante. A volte può sorgere un po’ di tensione, un po’ di reverenza nei confronti di figure totemiche che difficilmente si ha l’opportunità di affrontare. E per questo, spesso, in partite così importanti come sarà quella di stasera tra Roma e Chelsea, i calciatori tendono sempre a dare quel qualcosa in più. Però, non è detto che si riesca. Anzi: ci sono giocatori che raggiungono il picco massimo di efficacia e di continuità solamente in campionato. Uno di questi, è Edin Dzeko.

Dzeko fa il suo esordio in Champions League nella stagione 2009-2010 con la maglia del Wolfsburg, dopo aver sbaragliato la concorrenza nell’anno precedente andando a vincere uno storico titolo di Bundesliga. La coppia d’attacco di quella squadra, Dzeko-Grafite, è ancora oggetto di venerazione da parte dei tifosi biancoverdi. Quell’anno, in coppa, segna 4 reti in 6 partite. Niente male per un esordiente. Ma la storia d’amore che sembrava poter nascere tra il bosniaco e le notti europee si ferma lì. Perché con la maglia del Manchester City, Dzeko segna appena 3 reti in 24 apparizioni, ovvero un gol ogni 8 partite. Poco, davvero troppo poco per quell’attaccante magnifico che, regolarmente, dava bella mostra di sé in campionato. Perché in Premier, il 9 giallorosso segna sempre e con regolarità: 50 gol in 130 presenze, al netto però del primo spezzone di stagione con i citizens (passò dal Wolfsburg al City nella finestra di mercato del gennaio 2011) in cui segna appena due gol in 15 presenze, e dell’ultima travagliata stagione (4 gol in 22 presenze), dove colleziona più infortuni che marcature. Poi, a fine anno, si trasferisce nella Capitale.

Nel suo primo anno di Roma, Edin ritrova la Champions: l’annata storta, porta il cigno di Sarajevo a trovare due sole segnature in 7 presenze, in linea con la media gol tenuta in campionato (8 reti in 31 presenze nella Serie A 2015-2016). I giallorossi, in quel campionato, arrivano terzi in classifica, e la stagione successiva non riescono a passare lo scoglio dei preliminari di Champions League contro il Porto. Così, Totti e compagni, si ritrovano a dover giocare l’Europa League 2016-2017 dove, a sorpresa, Dzeko fa bene, benissimo, riuscendo a raggiungere anche il titolo di capocannoniere della competizione, con 8 gol in altrettante presenze. Il resto è storia recente: nella Champions di quest’anno il bosniaco ha già siglato 3 reti in appena 3 presenze, una media incredibile che oggettivamente non appartiene alla sua storia personale. La speranza di tutti i tifosi giallorossi è che Dzeko possa continuare a segnare con questa regolarità, lasciando loro tempo e modo di credere in qualcosa in cui era difficile sperare quando, dall’urna di Montecarlo, la Roma fu sorteggiata nel girone C, assieme ad Atletico Madrid e Chelsea.

Il passaggio del turno ora è possibile, soprattutto grazie a lui, Dzeko, che a Roma – numeri alla mano – sta vivendo le migliori stagioni della sua vita professionale. La media gol in campionato è di uno ogni 1,77 partite, mentre nelle due esperienze precedenti, in Germania e in Inghilterra, è di una rete ogni 2,07 gare. In Champions League, ancora meglio: un gol ogni due partite con la maglia della Roma, addirittura un gol ogni 3 partite e mezzo con le maglie di City e Wolfsburg. Insomma, come spesso capita da qualche tempo a questa parte, le speranze della Roma, in campionato o in coppa, hanno solo e soltanto un nome: Edin Dzeko.

Gianluca Notari

Gonalons, Kolarov e la Roma adulta

Gianluca Notari – “Prima queste partite non le avremmo vinte“. Firmato Diego Perotti, come è sua la firma sull’1 a 0 di questo Roma-Crotone. Risultato secco, forse sotto le aspettative, ma che presta il fianco a diverse considerazioni.
Il volto di questa gara è certamente Maxime Gonalons. Il francese, arrivato come riserva di De Rossi, si era fatto notare nella partita di Londra contro il Chelsea, sorprendendo tutti per la sua calma olimpica dopo la sofferta partita di Baku, ed anche oggi ha dimostrato di essere un elemento di cui mister Di Francesco può fidarsi certamente. Come lui, la Roma oggi ha dimostrato di saper gestire i momenti della stagione, premendo sull’acceleratore quando serve e frenando un po’ quando non è richiesta la velocità massima. Sia chiaro, la concentrazione non deve mai mancare, ma a far specie è la consapevolezza della dimensione e della mentalità che questa squadra sta maturando nei propri confronti. Oggi Nainggolan e compagni hanno fatto ciò che desideravano: andare subito in vantaggio per poi gestire al meglio la partita. E meglio di così proprio non si poteva: era dal 2013 che la Roma non prendeva così pochi tiri nello specchio, appena 3, con Alisson che per reiterata inoperosità rischiava quasi di rimanere senza voto nelle pagelle finali.

Potrebbe essere definita questa una Roma donwtempo: calma e rilassata nei momenti di superiorità, ritmata e vivace quando il gioco lo richiede. E per rimanere sulla metafora musicale, una particolare menzione va fatta per Aleksandar Kolarov, cassa dritta di questa squadra: è lui il faro che illumina la squadra, il compagno a cui tutti si affidano quando si libera spazio sulla sinistra. Ogni qualvolta che l’ex City ha la palla tra i piedi il tifoso romanista scalpita, si agita e sfrega le mani, pregustando la giocata che lo farà gridare di gioia. Il suo rendimento va oltre ogni più rosea aspettativa, e non per la qualità delle giocate – che sapevamo non mancare, ahi noi, per averla testata anche sulla nostra pelle – ma per l’incredibile continuità che gli riesce a dare. Durante la scorsa stagione, con Guardiola, il serbo ha giocato la maggior parte delle partite da difensore centrale, in difese a tre o a quattro. E alla soglia dei 32 anni, non è per nulla facile riprendere un ritmo che si è perso, specialmente in un campionato così dispendioso come la Serie A. Eppure, per Kolarov il tempo sembra non essere passato. Probabilmente arriverà il momento di calo fisico, perché immaginarlo così per tutta la stagione somiglierebbe più ad un romanzo di Bruce Sterling, ma l’impressione è che per il momento Kolarov sia, e si senta, insostituibile. Questo forse alla lunga potrebbe diventare un limite per Di Francesco, che però ha la scusante di non aver mai avuto un suo sostituto naturale, cosa che invece avrà quando, tra poche settimane, rientrerà Emerson Palmieri. In quel momento il tecnico abruzzese dovrà esser bravo ad alternare i due, avendo maturità nel discernere quale dei due sia il più indicato partita per partita.

Insomma, la Roma di Di Francesco non è la Roma più bella che si sia vista da questi lidi. E probabilmente non è nemmeno la più forte. E’ una squadra in crescita, ma che presenta già diversi caratteri distintivi, su tutti quello dell’essere adulta, che sa capire quando si deve accelerare e quando frenare per arrivare all’obiettivo, cioè quello di vincere.
Che poi, vincere le partite sporche è una qualità, non una pecca.

Gianluca Notari