Gianluca Notari – Non sono bastati 87 punti e la qualificazione certa in Champions League per convincere Luciano Spalletti a rimanere sulla panchina della Roma. L’ormai conclamato litigio con Francesco Totti e le pressioni dell’ambiente derivate dall’alterco hanno fatto sì che le strade della Roma e del tecnico di Certaldo si dividessero nuovamente. Il toscano è ormai l’allenatore dell’Inter, mentre Pallotta e i suoi hanno scelto di puntare su Eusebio Di Francesco.
Allenatori per certi versi simili – poiché entrambi propongono un gioco rapido che cura spasmodicamente la fase offensiva – ma anche molto diversi, a cominciare dal modulo: Spalletti ha reso noto in tutto il mondo il suo personalissimo 4-2-3-1 già nella sua prima avventura romana, vincendo e convincendo in tutta Europa. Oggi il modulo è rimasto lo stesso, anche se i dettami tattici si sono evoluti rispetto a 8 anni fa: il gioco in verticale non è più ricercato in maniera ossessiva come un tempo, e nell’ultimo anno e mezzo nella Capitale è stato plasmato sulle caratteristiche dei giocatori. I gol di Dzeko, le accelerazioni di Salah, Emerson Palmieri e Florenzi, i dribbling di Perotti ed El Shaarawy, la dinamicità di Nainggolan e l’intelligenza tattica di De Rossi hanno rappresentato armi letali nel suo arsenale, riuscendo nella costruzione di una squadra che ha fatto registrare il suo record storico di punti in campionato.
Eusebio Di Francesco è invece un allenatore più dogmatico, che ama un certo tipo di calcio e adatta spesso i suoi calciatori alle proprie intuizioni, forte di un pensiero sistemico e calcolato al millimetro. Di Francesco si è fatto notare al grande pubblico per lo spumeggiante 4-3-3 sfoggiato a Sassuolo, con il quale è arrivato addirittura a giocarsi i gironi di Europa League. I punti forti del calcio dell’ex Lecce sono le mezzali e gli esterni d’attacco: questi ultimi si accentrano lasciando spazio ai lati dove si infilano i centrocampisti e il terzino che duettando possono arrivare al cross o a servire una delle ali al limite dell’area. Nelle prime uscite stagionali abbiamo visto fare molto bene questo lavoro a Nainggolan, mentre Strootman sembra avere un po’ di problemi in questa nuova veste. Dzeko, rispetto allo scorso anno, è meno libero di infilarsi alle spalle della linea difensiva, mentre è spesso chiamato in causa per fraseggiare e fare sponda con i compagni, lasciando spazio libero alle sue spalle che gli esterni possono sfruttare per arrivare in porta. Ma se sulla sinistra il ruolo è coperto da El Shaarawy, sulla destra la situazione non ancora così chiara: per il momento dovranno essere Perotti e Defrel a giocarsi il posto ogni domenica, in attesa del rientro di Patrik Schick, vero fiore all’occhiello della sessione estiva di mercato.
Gianluca Notari