Portieri a confronto: Pau Lopez domina su Mirante e Fuzato, ma il rendimento è da metà classifica

(S. Valdarchi) – In attesa che il campionato possa ripartire e nella speranza di portare a termine la stagione calcistica 2019/20, analizziamo le statistiche dei giocatori della Roma fin qui. Per ogni ruolo, vedremo, in base ai dati, i migliori calciatori giallorossi per rendimento. Partiamo con quella che probabilmente è la posizione più delicata nel mondo del calcio: il portiere. Dei tre estremi difensori a disposizione, Paulo Fonseca nelle gare ufficiali ne ha utilizzati soltanto due: Pau Lopez ed Antonio Mirante. La titolarità tra i pali l’ha guadagnata lo spagnolo, arrivato in estate dal Real Betis a fronte di 23,5 milioni di euro. Il terzo portiere a disposizione Daniel Fuzato, a Roma dal 2018, non ha ancora fatto il suo esordio in prima squadra.

Pau Lopez

Al primo anno in Italia, il rendimento di Pau Lopez è stato nel complesso positivo. Le prestazioni di un portiere, come sempre, dipendono molto dalla tenuta difensiva della sua squadra e, in questo campionato, la formazione di Fonseca non è stata eccezionale in quanto ad azioni subite. Guardando alla Serie A, la Roma dopo 26 giornate ha concesso 35 reti (tutte con Pau Lopez in campo), risultando l’ottava difesa italiana. Aggiungendo le 9 gare di coppa (Europa League e Coppa Italia) in cui lo spagnolo è sceso in campo, si arriva a 43 gol subiti. Per quanto riguarda i così detti clean sheet, le partite terminate senza reti al passivo, Pau ne ha collezionati 9, di cui 5 in Serie A, in stagione su 34 presenze, con una percentuale pari al 26,5%. Ritornando nei confini del campionato, il numero 13 romanista ha effettuato 79 parate, di cui molte decisive, basti pensare alle due sui campi di Bologna e Genoa. Non sono mancati, come ovvio, anche alcuni errori nel corso del suo percorso, il più evidente e fresco nei ricordi dei tifosi è quello nell’ultimo derby, in occasione del pareggio di Acerbi. Episodio però, viziato da una carica non sanzionata dal direttore di gara. Infine, dal dischetto, il classe ’94 ha subito 7 gol, parando un rigore a Joao Pedro (che ha ribadito in rete sulla ribattuta), nell’ultima gara giocata dalla Roma a Cagliari, prima dello stop alle competizioni.

Mirante

L’estremo difensore campano, fin qui, ha disputato tre gare, due in Europa League ed una in Serie A. Delle due partite europee, nell’ultima in casa contro il Wolfsberger è stato costretto ad abbandonare il campo dopo un’ora di gioco, per un’infortunio al menisco. Nei 240′ tra i pali, Antonio Mirante ha subito 2 reti (1 gol ogni 120 minuti), entrambe contro il Wolfsberger tra andata e ritorno, mentre ha terminato con la porta inviolata la trasferta di Milano contro l’Inter. La Roma, con Mirante in porta, ha ottenuto 3 pareggi, per una media perfetta di un punto a partita.

Confronto

Per avere qualche termine di paragone e poter valutare al meglio le prestazioni di Pau Lopez, consideriamo altri numeri dalle altre squadre di Serie A. La classifica di parate è guidata da Etrit Berisha, della SPAL, con 117 salvataggi effettuati. Questo dato però risulta piuttosto sensibile alla capacità della propria formazione di non concedere molte conclusioni agli avversari. La peggior difesa, invece, risulta essere quella del Lecce. I salentini hanno subito 56 reti in 26 partite, per una media di 2,15 gol ogni 90 minuti. La miglior difesa, invece, è quella della Lazio, con 23 gol subiti. Per quanto riguarda i clean sheet, è Donnarumma il portiere ad averne portati a casa il maggior numero: 10; seguito da SilvestriStrakosha e Musso a quota 9. Infine, una curiosità: Antonio Mirante, avendo disputato una sola gara in campionato (Inter-Roma 0-0), guida la classifica delle porte inviolate in percentuale, con il 100%.

(S. Valdarchi)

Kluivert, la scheggia impazzita dell’attacco della Roma

(Jacopo Venturi) – Justin Kluivert è di sicuro un valore di questa Roma. Economicamente, tecnicamente e tatticamente parlando. Per quanto riguarda il primo aspetto la questione è evidente: i giallorossi hanno profumatamente pagato il numero 99 circa un anno e mezzo fa, dunque il suo valore sul mercato rimane alto ed è destinato a salire, salvo clamorosi cali da parte dell’olandese. Il secondo punto anche è chiaramente comprensibile. Kluivert ha delle doti innegabili, dalla corsa, al tiro fino alla capacità nell’uno contro uno. Ha tutte le carte in regola per essere un esterno difficile da contrastare per chiunque. L’aspetto più significativo però riguarda la terza voce, quella tattica. Infatti Kluivert lo scorso anno aveva dato l’impressione di essere un giocatore spesso al di fuori delle logiche della squadra e questo non lo aveva premiato. Quest’anno Fonseca invece sembra averlo capito maggiormente: sta sfruttando la sua inclinazione all’isolamento e alla giocata estemporanea per dare una variante in più all’attacco della Roma. E questa strategia, soprattutto nella prima parte della stagione, quando la squadra funzionava nel suo complesso, ha dato i suoi frutti. Kluivert poi è ancora lontano dall’essere un giocatore fatto e finito, trascinante, e dunque è anche lui caduto in una spirale di prestazioni non brillanti con il calo generale dei suoi compagni di squadra. Ma per la sua età questo è comprensibile. Al momento l’olandese è una pedina strategica, fastidiosa per gli avversari, che sta cercando di rendere più sistematico un modo di giocare troppo senza briglie. Un giovane talento in cerca dell’affermazione di se stesso.

(Jacopo Venturi)

Le imprese della Roma in Europa: il Chelsea, notte da lupi

Alice Dionisi – Champions League 2017/2018. L’opinione pubblica dopo i sorteggi è abbastanza chiara, “Girone di ferro per la Roma” che dovrà affrontare l’Atletico Madrid del Cholo Simeone e il Chelsea di Antonio Conte, con gli azeri del Qarabag a rendere un po’ meno spaventosa la fase a gironi. Nelle gare di andata i giallorossi allenati da Eusebio Di Francesco pareggiano in casa contro gli spagnoli 0-0, vincono a Baku 2-1 e pareggiano 3-3 allo Stamford Bridge.

AGGHIACCIANTE

Il ritorno contro i Blues si gioca il 31 ottobre, la notte di Halloween. La Roma affila le unghie e scende in campo sul prato dello stadio Olimpico con la voglia di riscattare il pareggio di Londra, che andava un po’ stretto. 40 secondi dopo il fischio d’inizio dell’arbitro Eriksson, El Shaarawy sale in cattedra: Kolarov, poi Dzeko che fa sponda di testa per il Faraone, è 1-0, un vero e proprio “eurogol”. Gli uomini allenati da Conte ci provano, ma Alisson in porta abbassa la saracinesca, non si passa. Al 36’ Rüdiger fa un regalo ai suoi ex compagni e manda di nuovo in porta il numero 92 che coglie l’occasione e firma la doppietta, El Shaarawy come Vucinic nel 2008. Si va a riposo sul 2-0, ma lo spettacolo non è ancora finito. Nella ripresa è Perotti a chiudere i conti, el Monito al 63’ segna il 3-0 definitivo. Una serata “agghiacciante” per Antonio Conte.

DOLCETTO, NESSUNO SCHERZETTO

La ciliegina sulla torta ce la mette il Qarabag, che ferma l’Atletico Madrid in casa pareggiando 1-1. Nella notte delle streghe a fare paura sono i lupi (e i faraoni). Di Francesco domina Conte, il Chelsea mette il travestimento da fantasma. La Roma è prima nel suo girone, gli avversari non sembrano più così proibitivi. Non sarà la sconfitta al Wanda Metropolitano a fermare la squadra, la vetta resta giallorossa, il lasciapassare per gli ottavi è quello delle “big”. L’inizio di un sogno da campioni.

Alice Dionisi

Viaggiando nella Hall Of Fame: Vincenzo Montella, semplicemente l’aeroplanino

Pagine Romaniste (F. Belli) – “Bene. Ci siamo riusciti – disse sospirando -. Sì, sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante. Ah si? E cosa ha capito? Che vola solo chi osa farlo”. Vola solo chi osa farlo. Una perla di saggezza che non dovremmo mai dimenticare. È la “Storia di una gabbianella e il gatto che le insegnò a volare” di Sepulveda, passato a miglior vita poco fa a causa del CoronavirusVincenzo Montella ha osato fin da quando calciava i primi palloni in un paesino in provincia di Napoli. Scovato dall’Empoli giovanissimo, si trasferisce al Genoa prima di cambiare sponda della città e passare alla Sampdoria. Ma proprio coi rossoblu è decollato la prima volta, in Serie B, dopo una mezza rovesciata col CesenaL’esultanza, quella dell’aeroplanino, non la abbandonerà mai più in carriera. In un freddo aprile del 1999 la Roma allenata da Zeman lotta per qualificarsi in Champions osservando con occhio molto preoccupato la Lazio prima in classifica a sei lunghezze dal Milan. L’entusiasmo degli anni migliori è ormai molto lontano e la piazza ha dimenticato cosa significa lottare per la vetta. Serve entusiasmo e Franco Sensi lo sa. Per questo durante una festa dedicatagli annuncia ai tifosi: “Voglio vincere, è l’unica cosa che mi interessa. Perché sono come voi, e per farlo ho già preso un giocatore a Genova. Non fatemi dire di più”.

La panchina con Capello e il poker al derby

Non doveva aggiungere altro perché tutti intorno a lui hanno capito. Seguiranno tanti gol ma anche tante incomprensioni. Capello non lo vede titolare e gli preferisce il trio Batistuta-Totti-Delvecchio. La cosa lo infastidisce anche perché segna come fosse titolare. Entra pochi minuti e gonfia la rete, è una costante. Anche gol decisivi, come quel pallonetto al Milan che virtualmente significa titolo a pochissime giornate dal termine. O meglio ancora quello del pareggio al Delle Alpi all’ultimo minuto con la Vecchia Signora, poche giornate prima. Senza quel ragazzo nato a Pomigliano d’Arco quello scudetto probabilmente non ci sarebbe stato, ma questa è solo una supposizione. La partita della vita, che proietta l’aeroplanino nell’olimpo giallorosso, è il derby di ritorno dell’anno successivo. Un gol di testa, dal “basso” dei suoi 172 centimetri. Uno col piede sinistro, anticipando con furbizia un fenomeno come Nesta. Un altro di testa, ancora. Uno di sinistro da fuori area sotto al sette. Non c’è bluff: Montella ha calato un poker personale al derby, unico nella storia della stracittadina. Del resto chi vola in alto è sempre solo. Solo, come quando 9 anni dopo è stato chiamato al timone di una squadra al collasso dopo le dimissioni di Ranieri, da allenatore. Indimenticabile anche quello sguardo concentrato, surreale, fisso dopo la punizione di Totti al derby del 13 marzo. Tutti esultavano ma lui no, il pilota solo al comando.

Pellegrini, alla ricerca di se stesso

(Jacopo Venturi) – Lorenzo Pellegrini è un giocatore poco discutibile se lo si analizza per certi aspetti, molto più criticabile se lo si interpreta da altri. Sicuramente nessuno mette in discussione il giocatore dal punto di vista del talento e della qualità pura. È uno dei migliori talenti della Primavera romanista degli ultimi anni in tal senso e uno dei primi anche a livello nazionale. Ma è ovvio che tra il possesso di un’abilità e la sua applicazione ce ne passi ed è proprio qui che possono sorgere delle critiche nei suoi confronti. Dal derby del 2018, con quel gol di tacco, il numero 7 si è sbloccato, rendendosi protagonista di prestazioni al livello delle sue qualità molto più spesso di quanto non avesse fatto in passato. Il ruolo stabile da trequartista, nel quale anche Fonseca lo ha inquadrato dopo un tentativo non andato a buon fine in mediana, lo ha aiutato a trovare maggiormente le misure del suo gioco. Ma ancora oggi, ancora in questa stagione, Pellegrini sembra un giocatore incompleto, fermo in un punto indefinito sulla linea del suo processo di crescita. Deve essere chiaro: si sta parlando di un giocatore forte e per certi versi indispensabile per questa Roma. Il problema è che una squadra deve potersi affidare a un leader in ogni momento, non solo quando questo si accende. Questo rimane il limite maggiore di Pellegrini; un limite mentale, non tecnico, da superare per portare lui e la sua amata Roma su un altro livello.

(Jacopo Venturi)

PELLEGRINI: “Fonseca mi rende orgoglioso quando dice che sarò il capitano dopo Dzeko. Totti è una leggenda, nessuno sarà mai come lui”

Marco Tumminello (2nd-R) of A.S. Roma celebrates his goal with teammates Lorenzo Pellegrini (#7) and Maxime Gonalons (R) during the International Champions Cup (ICC) football match between Tottenham and A.S. Roma July 25, 2017 at Red Bull Arena in Harrison, New Jersey. / AFP PHOTO / Don EMMERT (Photo credit should read DON EMMERT/AFP/Getty Images)

Lorenzo Pellegrini, centrocampista della Roma, ha rilasciato all’emittente satellitare in cui ha parlato della propria storia e del proprio passato con la maglia giallorossa, del presente che sta vivendo in un momento così difficile per tutto il paese e, infine, delle aspettative per il futuro. Queste le sue parole.

Partiamo da cosa potrebbe rappresentare la ripartenza del calcio…
La prima cosa che mi viene in mente è che riprendendo il campionato e gli allenamenti sarebbe un modo per noi per cercare di esser vicini ai nostri tifosi, visto il momento difficile dove devono restare a casa. Cercando così di essergli vicini dandogli un’opportunità di passare il tempo. Oltre il fatto che è normale ed evidente che il calcio sia la nostra passione e il nostro lavoro e ci piacerebbe in sicurezza ricominciare il prima possibile.

Cosa pensi delle prese di posizione varie dell’Assocalciatori?
Penso che l’Assocalciatori stia rappresentando alla perfezione quella che è la volontà di noi calciatori. Cercare di ricominciare piano piano, mettendo un piccolo mattoncino alla volta in totale sicurezza e vedere cosa accadrà più avanti, sperando che le cose migliorino in generale per tutta l’Italia, non solo per il calcio ma anche per tutti gli altri lavori.

Ce la farà la Serie A a ripartire? Quale messaggio vuoi lanciare?
Dal mio punto di vista per ripartire tutti quanti insieme deve farlo anche il calcio, passando per piccoli step. Uno di questi step fondamentali è quello di ricominciare piano piano le cose, il primo step è quello di chiedere di poter rientrare nei nostri centri sportivi per svolgere gli allenamenti.

Che ruolo hai avuto nell’accordo che avete raggiunto con la società, anche per rinunciare a delle mensilità…
Abbiamo raggiunto l’accordo per andare incontro alla società, nonostante in una squadra ci siano tante emozioni contrastanti tra chi è contento e sa di rimanere e chi pensa che magari possa andare via, però nessuno ha fatto alcun tipo di problema ed è stato talmente tanto semplice che nessuno di noi ha avuto un ruolo più importante o meno importante perché abbiamo deciso tutti quanti e tutti insieme. Questo è quello che fa una squadra vera secondo me e noi siamo una squadra vera.

Fonseca ha annunciato un’investitura su Lorenzo Pellegrini capitano nel post Dzeko…
Alle parole bisogna dare un peso, quindi è importante chi le dice determinate parole. Con il mister ho un bellissimo rapporto e ho una grande stima di Fonseca, sicuramente sentir dire queste cose da lui mi rende molto orgoglioso.

E’ vero che sei stato un “bel martello” la scorsa estate quando DZeko era vicino all’Inter per convincerlo a restare?
Forse martello è poco. C’è stato un momento in cui parlavo più con Edin che con mia moglie a casa, che tra l’altro era incinta e stava quasi per partorire. Quindi è stato un po’ un momento così, ci siamo visti anche fuori dal campo e continuavo fino a che non mi ha detto in anteprima che avrebbe rinnovato e si era messo d’accordo con la società. Io sono stato felice come se avessi rinnovato io.

Proprio questo tuo forte senso di appartenenza ti lega tanto a Roma e alla Roma…
Penso che questo sia normale. Io qui sono cresciuto, sono nato, ho tutta la mia famiglia che è della Roma, è evidente che sento una cosa diversa da quella che sentono gli altri, non che sia più forte o meno forte, ma è comunque una cosa diversa. Sono orgoglioso di far parte di questa società che anche in questo momento difficile ha dimostrato di avere un cuore grande e devo dire che mai come quest’anno mi rispecchio nella mia società e sono contentissimo.

Quanto hai inciso tuo padre nella tua carriera calcistica?
Si aspettava da me sempre di più. Questa cosa mi ha fatto capire che anche io dovevo aspettarmi da me sempre di più, non mi dovevo accontentare. Diciamo che papà nel calcio è stato un grande maestro e continua a esserlo, ho un grande rapporto con lui mi ci sento veramente tutti i giorni e ci parlo anche di calcio. Dopo la partita mi chiama e mi dice quello che pensa, e questo mi fa molto piacere. Poi non lo devo neanche dire che ha avuto un ruolo fondamentale nella mia vita per quello che sono adesso.

Montella cosa ti ha insegnato? Che ruolo ha avuto nella tua vita, visto che eri veramente un ragazzino quando ti ha allenato nel settore giovanile della Roma…
Montella è stato l’allenatore che mi ha insegnato a fare il centrocampista, con lui vincevamo tutte le partite, era incredibile. Mi pare che avessimo fatto 28 partite e 28 vittorie in campionato. Poi fu l’anno che lui a metà stagione andò in prima squadra, però ho un bellissimo rapporto con lui e mi fa sempre piacere incontrarlo.

A un mito come Bruno Conti quando sei cresciuto e hai preso la maglia numero 7 gli hai chiesto il permesso?
In realtà sono stato un po’ maleducato, perché il permesso non gliel’ho chiesto subito, anche perché la maglia era già assegnata. Anche Bruno ha avuto un ruolo fondamentale nel mio percorso di crescita qui all’interno della Roma, e ogni volta che lo vedo glielo dico, Bruno guarda l’ho presa solo in prestito non ti arrabbiare e lui ogni volta mi dice che è felicissimo che la porto io. Per me è ancora più un orgoglio questo.

Cosa ricordi del tuo esordio in Serie A?
Mi ricordo tutto. Mi ricordo quando eravamo in hotel e mister Garcia, che sento spesso, passò in camere e mi disse Lorenzo tieniti pronto perché oggi potrebbe essere una grandissima giornata. Garcia passava per ogni stanza per fare l’imbocca al lupo, e non mi aveva mai detto quelle parole. Mi aspettavo di realizzare questo sogno, poi quando è successo venivamo da qualche partita no e siamo anche riusciti a vincere, è stata una serata fantastica, perfetta sotto ogni punto di vista.

Accanto a te a centrocampo hai sempre avuto un certo De Rossi…
E’ sempre stato un punto di riferimento importante per me. Nei due anni che abbiamo passato insieme è stato anche meglio di come mi potessi aspettare. Quando vedi Daniele ti innamori dell’uomo oltre che del calciatore, quindi questi due anni mi hanno solo confermato che è una persona incredibile, eccezionale. Ci sentiamo tanto e mi fa sempre piacere sentirlo. Ogni tanto giochiamo alla play (ride ndr.), però è scarso non ci sa giocare. Però anche solo parlarci mi fa sempre piacere perché è un uomo incredibile.

In questa stagione hai fatto molti assist e molti ne parlano come se fossero i tocchi che faceva Totti. Quando senti queste cose cosa ne pensi?
Mi rende orgoglioso, mi fa tantissimo piacere. Solo pensare una cosa del genere mi fa piacere. Francesco è una leggenda, io non sarò mai come lui, nessuno lo sarà probabilmente. Quello che penso è che mi voglio mettere a disposizione della Roma e fare il massimo che posso fare, poi quello che succederà sperò sia bello.

Hai mai pensato quando sei andato al Sassuolo di non tornare più alla Roma?
Io sono andato al Sassuolo con la serenità di un ragazzo di 19-20 anni che andava lì per imparare, crescere e tornare a casa più forte.

Un difetto ce l’hai?
In campo una della cose su cui devo migliorare è fare meglio la parte difensiva, ma soprattutto vorrei fare qualche gol in più.

Tua figlia quanto ha cambiato la tua vita?
Si, è incredibile come ti cambia la vita. Io non credevo di poter provare questo amore verso di lei invece è una cosa inspiegabile. Ad agosto compirà un anno ed è incredibile, il tempo è volato. Adesso ogni giorno fa una cosa nuova, inizia a gattonare a dire qualche parolina, si avvicina a dire papà, quindi è un emozione continua.

Un giorno le potresti dire che se non avessi fatto il calciatore ti sarebbe piaciuto fare…
Non ti so rispondere perché nella mia testa c’è sempre stato solo questo, giocare a pallone e divertirmi, per poi vedere dove sarei arrivato. Se non avessi fatto il calciatore avrei fatto il maestro d’asilo o non so qualcosa del genere.

Cosa rappresenta per te vestire la maglia dell’Italia?
Un’emozione grande, perché già avere la possibilità di rappresentare la mia città e la mia famiglia è un’emozione. Avere la fortuna di poter rappresentare anche la propria città e la propria Nazione, non penso ci sia niente di meglio. Poi ovviamente come dice papà non bisogna mai accontentarsi, ma sono orgoglioso di far parte della Nazionale.

Come giocatori ti sono sempre piaciuti sia Gerrard che Lampard, ma chi di più tra i due?
Diciamo che tra i due ho sempre preferito Gerrard, mi ha sempre fatto impazzire. Mi piaceva come si muoveva, la sua eleganza, il modo di toccare il pallone. Poi era si elegante ma soprattutto concreto, questa cosa mi piaceva tantissimo.

Mancini ha detto che vuole giocare l’Europeo per provare a vincerlo, può riuscirci questa Italia?
Assolutamente si. Noi stiamo facendo un percorso di crescita e abbiamo, purtroppo, un altro anno di tempo per crescere e migliorare tutti quanti. Il mister ha detto da subito che lui voleva aprire un nuovo ciclo, con tanti giovani, e la rosa è molto giovane infatti, e questo ci aiuta a essere un gruppo più unito. Senza nulla togliere ai più grandi, che poi mi dicono che non li voglio. Siamo un bellissimo gruppo dentro e fuori dal campo, nelle qualificazioni abbiamo dimostrato di essere una grande squadra e andremo agli Europei per dire la nostra, l’anno prossimo ci arriveremo con qualche consapevolezza in più.

Con chi hai legato di più dei giocatori extra-Roma in Nazionale?
In Nazionale io mi trovo bene con tutti, ma quelli con cui sto di più extra-Roma sono Florenzi che ora è al Valencia, anche se alla Roma stavamo sempre insieme, poi Belotti e Immobile, facciamo sempre tutto insieme, anche quando abbiamo un’uscita libera a cena andiamo sempre insieme. Però devo dire che sto bene con tutti, sono fortunato perché sia a Roma che in Nazionale non mi viene in mente qualcuno con cui non mi trovi bene o che mi faccia pensare che non sia una brava persona. Sono orgoglioso di questi gruppi.

Fonte: Sky Sport

La meglio gioventù – Alessio Cerci: dal fallimento in Spagna alla Salernitana, con la costante Ventura

(S. Valdarchi) – La carriera di Alessio Cerci ha disegnato nel corso degli anni una parabola che ha conosciuto il suo punto più alto nelle due stagioni al Torino, dal 2012 al 2014, con un rendimento che ha portato l’Atletico Madrid, uno dei club europei più importanti in quel momento, ad investire su di lui. Dall’esperienza in Spagna in poi, invece, la traiettoria è diventata discendente, facendo girare il talento di Valmontone tra Hellas Verona, neopromossa in Serie A, e Turchia, fino alla Salernitana, squadra che attualmente detiene il suo cartellino.

Gli inizi

Nato nel 1987, l’attaccante esterno cresce nel Valmontone, prima di passare alla Roma nel 2003. In giallorosso completa il suo percorso nelle giovanili, vincendo lo Scudetto Primavera nel 2004/05 ed arrivando ad esordire in prima squadra il 16 maggio del 2004, gara che coincide con l’ultima panchina di Fabio Capello nella Capitale. Essendo ancora molto giovane, rimane a disposizione di mister De Rossi fino al 2006, riuscendo comunque a collezionare altre 4 presenze con la Roma tra Serie A e Coppa Italia. Terminata la sua trafila nel calcio giovanile, la società romanista decide di mandarlo in prestito per fargli fare esperienza. Così, per tre stagioni consecutive, Alessio Cerci gioca lontano da Trigoria, pur rimanendo di proprietà del club capitolino. Dopo i due campionati passati tra i cadetti con Brescia e Pisa, il mancino trascorre un’annata in Serie A con l’Atalanta. Tra questi tre prestiti, quello in Toscana risulta sicuramente il più felice dal punto di vista dei risultati, considerando i 10 gol e 9 assist (al netto di un infortunio che l’ha tenuto fermo per due mesi) con i quali termina il campionato di Serie B 2007/08. Non è un caso che al Pisa le cose siano andate così bene; ad allenarlo infatti c’è Gian Piero Ventura, tecnico che lungo la carriera di Cerci si è dimostrato forse l’unico in grado di tirargli fuori il meglio.
Una volta terminati gli anni in prestito, l’ala rimane a Roma nel 2009/10, stagione segnata dall’avvicendamento in panchina tra Luciano Spalletti e Claudio Ranieri, e l’esaltante rincorsa Scudetto, fallita ad un passo dal traguardo con la sconfitta firmata Pazzini. In quell’annata comunque Cerci trova spazio nelle fila romaniste, riuscendo a scendere in campo per 19 volte e siglando i suoi primi, ed ultimi, 3 gol in giallorosso.

Esaltazione e caduta

Chi conosce un po’ di astronomia sa che i pianeti vivono diverse fasi nella loro vita e tra queste ce ne sono due chiamate esaltazione e caduta. Senza inoltrarci oltre in un campo così lontano dal calcio, anche la carriera di Alessio Cerci è stata caratterizzata da due momenti simili, molto vicini tra loro. Partito da Roma nell’estate del 2010 a titolo definitivo, l’attaccante gioca per due stagioni alla Fiorentina. Nonostante i rapporti complicati con la tifoseria viola, Cerci decide nel 2011 di rifiutare il passaggio al Manchester City, guidato all’epoca da Roberto Mancini. Dopo Firenze approda al Torino, e nei granata ritrova Gian Piero Ventura. In Piemonte le sue prestazioni migliorano ancora, ed il tecnico guida il Toro al ritorno in Europa nel 2014, dopo 19 anni di esilio. A quel punto, l’esterno scuola Roma è ricercato da molti club europei, tra cui l’Atletico Madrid, squadra per cui firma nel luglio dello stesso anno. I Colchoneros, in un periodo di forma straordinaria, sono reduci da una delle finali di Champions League perse contro i cugini del Real. Quella in Spagna sembra poter rappresentare la svolta definitiva nel percorso di Cerci, ma le cose per lui si mettono male e lo spazio a disposizione è poco. Rimane sotto contratto con l’Atletico per tre anni, durante i quali torna in Italia per due esperienze, non esaltanti, in prestito al Milan ed al Genoa. Il fallimento nella penisola iberica rappresenta la fine dell’ascesa del classe ’87, che di lì a breve si ritrova all’Hellas Verona, neopromossa in Serie A, per poi andare in Turchia, nel MKE Ankaragucu.

Ancora tu

Ci sono carriere di giocatori che sono indissolubilmente legate ad alcuni tecnici. Per Alessio Cerci, come già detto, l’allenatore più importante nel corso degli anni è stato, senza dubbio, Gian Piero Ventura. Nel suo ormai famoso 4-2-4, l’attaccante romano ricopre il ruolo di esterno, riuscendo ad esaltarsi e risultando determinante per gli equilibri della squadra. Dopo averlo scoperto nel Pisa e lanciato definitivamente nel Torino, il tecnico genovese ha ritrovato il suo pupillo la scorsa estate, quando Cerci è passato alla Salernitana di Claudio Lotito. Il rendimento non è quello degli anni migliori, ma l’ex CT dell’Italia ha recentemente dichiarato: “Dopo due anni senza giocare era davanti ad una montagna da scalare. Mi ha sorpreso, perché non ha mai mollato e la montagna l’ha scalata a mani nude. Mi basterebbe averlo all’80%“.

(S. Valdarchi)