Un club a sostegno della città

Alice DionisiLa Roma c’è. Dall’inizio della pandemia, la società si è resa partecipe di numerose iniziative benefiche a sostegno non solo dei tifosi, ma di tutti i cittadini. Attraverso la Fondazione Roma Cares il club ha raccolto più di 500.000 euro, devoluti a favore dell’Ospedale Lazzaro Spallanzani nella lotta contro il Coronavirus. Dopo la donazione di 50.000 euro del presidente James Pallotta, che ha contribuito all’acquisto dei ventilatori polmonari per le Terapie Intensive, i campioni presenti e passati del club hanno deciso di scendere campo verso un obiettivo comune, per sensibilizzare i cittadini ed invitarli a donare in favore della struttura ospedaliera. Con i fondi raccolti, la società è stata in grado di finanziare l’acquisto di otto ventilatori polmonari, otto letti per la Terapia Intensiva e oltre 45 mila presidi sanitari.  A fine marzo Roma Cares ha iniziato, tramite le apette targate Roma, la distribuzione di pacchi contenenti generi di prima necessità per gli abbonati over-75, non solo generi alimentari, ma anche presidi sanitari utili nel periodo di emergenza. Il club si è poi attivato per consegnare oltre 13 mila mascherine chirurgiche e flaconcini di gel igienizzante per le mani negli ospedali, prima di iniziare una vera e propria campagna social in cui omaggia i veri eroi: i medici. In un momento delicato, la società ha voluto portare un sorriso anche ai piccoli tifosi in occasione della Pasqua, iniziando la distribuzione delle uova pasquali per tutti gli abbonati Under 10, con la partecipazione diretta dell’amministratore delegato Guido Fienga e dell’ex campione Vincent Candela. La Roma ha poi messo in vendita 500 maglie da gara in edizione limitata, le quali riporteranno il logo “Assieme”, nome della nuova campagna lanciata a supporto della fondazione Roma Cares nelle attività per contrastare il Covid-19. Il COO del club, Francesco Calvo, precisa che la fondazione è già in contatto con la Regione Lazio e la Protezione Civile per offrire il massimo sostegno, attraverso i fondi raccolti, nelle prossime fasi della pandemia. È poi proseguita la consegna di mascherine e gel igienizzante anche per i cittadini, con la distribuzione di oltre 32mila mascherine lavabili e riutilizzabili fino a 30 volte. La Roma raccoglie consensi e il presidente Pallotta ne tesse le lodi: “Non potrei essere più orgoglioso di Roma Cares. Molti club dovrebbero utilizzare singolarmente e collettivamente la loro voce per buone cause, perché quando succede i risultati ci sono. Noi non siamo solamente una squadra in campo” ha dichiarato al Corriere Dello Sport il numero uno giallorosso.

Alice Dionisi

Rewind Roma-Juventus, da “Stai zitto, so 4, va a casa” al pollice verso di Nainggolan

Alice Dionisi – Restiamo in Piemonte ma cambiamo avversario, passando dal Torino alla Juventus. Il bilancio contro i bianconeri è decisamente negativo, nell’arco di 192 partite disputate la Roma è riuscita a vincere 47 volte, a fronte dei 92 successi degli avversari e di 53 pareggi. La prima vittoria avviene dopo qualche anno, ma arriva in grande stile: un sonoro 5-0 allo Stadio Olimpico nel 1931, ad opera di Fulvio Bernardini, Nicolas Lombardo, Rodolfo Volk e Cesare Fasanelli. Nel 2001 invece, il pareggio per 2-2 in rimonta, ad opera di Nakata e Montella, permette ai giallorossi di conquistare il terzo scudetto. La classifica finale in quella stagione vede la Roma prima a 75 punti, con la Juventus seconda a 73, e le reti di Del Piero e Zidane avrebbero potuto essere fatali. I trasferimenti tra le due squadre nel corso degli anni non sono mancati: due volte Fabio Capello ha lasciato la Capitale per andare ai bianconeri, prima nel 1970, da calciatore, poi nel 2004, da allenatore. L’ultimo scambio sull’asse Vinovo-Trigoria è stato la scorsa estate, con l’arrivo di Spinazzola in giallorosso e la cessione di Luca Pellegrini, ma andando a ritroso nel tempo ci sono stati Pjanic, Benatia, Vucinic ed Emerson tra i giocatori in partenza per Torino, Perrotta e Boniek invece tra quelli che hanno scelto la Roma dopo le esperienze in bianconero.

AMICI MAI

La rivalità con la Juventus non è cosa recente, i bianconeri hanno negato lo scudetto ai giallorossi più volte: nella stagione 2016/17 non basta il record di punti (87), la squadra allenata da Spalletti vedrà i bianconeri vincere il titolo con soli 4 punti di vantaggio. Nel 1985/86 la clamorosa sconfitta della Roma a Bari nella penultima giornata di campionato consegna alla Vecchia Signora il suo 22esimo tricolore. Ad andare a segno il maggior numero di volte contro la Juventus è stato Francesco Totti con 10 gol, uno dei quali è arrivato nello storico 4-0 del “Zitto, so 4, va’ a casa”. È l’8 febbraio del 2004 è la Roma è a pari punti con i bianconeri, al secondo posto, alle spalle del Milan. La vittoria travolgente, firmata due vote da Cassano, da Dacourt e dal capitano, permette ai padroni di casa il sorpasso sulla formazione allenata da Lippi, con Pelizzoli tra i pali che nega a Trezeguet il gol dal dischetto.

DZEKO, 1 DI 102

Nella seconda giornata del campionato 2015/16 la Roma affronta in casa i campioni in carica della Juventus. Il primo scontro diretto premia i giallorossi, che riescono a conquistare i 3 punti grazie al 2-1 rifilato agli avversari. La bandiera della vittoria è a tinte bosniache, a segnare i due gol decisivi infatti sono stati Pjanic, che ha sbloccato la partita con una punizione impeccabile che lascia Buffon immobile tra i pali, e Edin Dzeko, alla sua prima rete con la maglia della Roma. L’anno successivo, alla 36sima giornata di Serie A, Luciano Spalletti nega ad Allegri e i suoi di festeggiare il titolo davanti ai tifosi presenti allo Stadio Olimpico. Il gol di Lemina porta in vantaggio la formazione ospite, ma 4 minuti dopo ci pensa De Rossi a ristabilire la parità. Nel secondo tempo le reti di El Shaarawy e Nainggolan chiudono definitivamente la partita, con il belga che esulta dando uno schiaffo virtuale agli avversari e col pollice verso. Nemici da una vita.

Alice Dionisi

 

 

 

Diawara, solo gli infortuni a frenare l’ascesa del guineano

(Jacopo Venturi) – Un infortunio al ginocchio poco dopo il suo esordio con la Roma, un altro poco prima dello stop del campionato per il Coronavirus. Amadou Diawara non è di certo stato fortunatissimo in questi mesi giallorossi dal punto di vista fisico, ma quando è stato bene ha fatto vedere perché la Roma, nella sorpresa generale, ha chiesto lui al Napoli nel momento in cui i partenopei hanno bussato alle porte di Trigoria per chiedere Manolas. Diawara ha dimostrato di essere esattamente quello che serviva alla Roma. In una squadra in cui i centrocampisti di ruolo hanno tutti avuto un passato da trequartisti o lo sono (Cristante, Pellegrini, Pastore, Veretout), il guineano è il vero equilibratore del gioco. Lo si vede poco, ma è presentissimo e ciò che si sente di solito è la sua assenza. La Roma sembra essere meno compatta, meno sicura senza di lui a centrocampo. Per questo la tenuta fisica preoccupa. I giallorossi hanno fatto esperienza in questi anni di giocatori formidabili e straordinariamente importanti che però non sono riusciti a imporsi a causa degli infortuni (su tutti Strootman) e dunque si deve cercare di fare il possibile per preservare Diawara. Un giocatore silenzioso, ma che sa fare la differenza.

(Jacopo Venturi)

Viaggiando nella Hall Of Fame: Sebino Nela, l’incredibile Hulk giallorosso

Pagine Romaniste (F. Belli) – “Scatta l’ala, una finta e poi vola sul fondo. Dimmi chi la fermerà. Ma stanotte che notte di pace e di guai. Forse un uomo vincerà, forse l’uomo vincerà”…Come dimenticare “Correndo Correndo” di Venditti. L’ha scritta nel 1987, dopo che Sebino Nela si era rotto il crociato. Per molti l’“incredibile Hulk“, come era soprannominato dai tifosi, era finito, uscendo sconfitto dalla più grande sfida che la vita gli aveva sbattuto in faccia fino a quel momento. Persino i romanisti non credevano più a un suo ritorno, loro che ogni domenica lo incitavano urlando “Picchia Sebino, picchia!”. Fino a quel momento, perché anni dopo sarà costretto a lottare di nuovo, questa volta contro un maledetto tumore. Una lotta estenuante e difficile che l’ha portato a un passo dal baratro. In un’intervista al Corriere dello Sport a febbraio ha dichiarato: “Ho visto la morte in faccia. Non so quante volte mi sono trovato di notte a piangere nel letto. Anch’io ho pensato al suicidio come Di Bartolomei negli anni della malattia, ma non ho mai trovato il coraggio…”. Un guerriero, nella vita come in campo.

L’arrivo a Roma e il dito medio al tecnico del Dundee

E’ arrivato a Roma nel 1981 per volontà di sua maestà Niels Liedholm. Difensore molto dotato fisicamente, proprio per questa forza preponderante nasce il soprannome che lo associa all’eroe Marvel. Forte ma anche buono. Del resto Gandhi diceva che quando alla gentilezza si aggiunge la forza, quest’ultima è irresistibile. Irresistibile, ecco il termine giusto. Nell’anno della finale col Liverpool è il miglior terzino destro del campionato nonostante sia mancino. Ma anche risoluto e estremamente sincero. Ancora oggi rimprovera a Falcao l’essersi tirato indietro dalla lotteria dei rigori in quella maledetta finale. E poi grintoso. Tutti i tifosi ricordano un loro beniamino per un gol, un gesto tecnico, una parata…Invece Sebino lo ricordano per il dito medio al tecnico del Dundee alla fine della partita di ritorno, come ha ricordato lui stesso a Roma Tv“Mi sono anche un po’ vergognato ma ci voleva. Era stato molto duro sui giornali dopo l’andata in Scozia. A fine gara non vedevo l’ora insieme ad Agostino e Oddi di andare a contatto con quest’uomo”. E ultimo, più importante di tutto, tifoso della Roma. “Acquisito” con quel “Ti Amo” che gli ha rivolto lo stadio nel 1985 nella gara interna col Bayern Monaco. E’ questa la storia di Sebino Nela, un uomo forte ma anche gentile. Del resto le anime forti, come dice Khalil Gibran, sono quelle temprate dalla sofferenza. Sono cosparse di cicatrici. – Pagine Romaniste (F. Belli)

La meglio gioventù – Stefano Okaka: l’attaccante giramondo che fece impazzire la Sud con un gol di tacco

(S. Valdarchi) – La carriera di Stefano Okaka si preannunciava come quella di un predestinato, corteggiato da grandi club europei fin da piccolo e bomber indiscusso nelle categorie giovanili. Ma come spesso accade, la fisicità a quell’età influisce molto sulle previsioni e sulle valutazioni, illudendo i più, ma non riuscendo poi ad affermarsi ad alti livelli.
Nato a Castiglione del Lago nell’agosto del 1989 da genitori nigeriani, Okaka arriva alla Roma nel 2004, segnalato a Bruno Conti da Zbigniew Boniek. I giallorossi riescono ad assicurarsi le sue prestazioni, battendo la concorrenza di Aston Villa e Milan. Da lì parte il suo percorso al Fulvio Bernardini.

Record dopo record

Dopo una decina di partite disputate con gli Allievi, Alberto De Rossi lo porta con sé nella Primavera e nel 2004/05 Okaka sigla 20 reti, aiutando la Roma a conquistare il titolo di Campione d’Italia. Il centravanti umbro detiene il record come marcatore più giovane del Torneo di Viareggio. Tale primato non rimane l’unico nella sua carriera per molto; visti gli ottimi risultati ottenuti con la formazione di De Rossi, la convocazione ed il debutto in prima squadra non tardano ad arrivare. Il 29 settembre 2005, in occasione di un Aris Salonicco-Roma di Coppa Uefa, diventa il più giovane italiano ad esordire nelle competizioni europee. L’8 dicembre dello stesso anno, invece, diventa il più giovane marcatore nella storia della Coppa Italia, andando in rete in un Napoli-Roma 0-3. Rimane a Trigoria fino all’estate del 2007, prima di essere mandato in prestito al Modena.

Il suo straordinario “Arrivederci Roma”

Da quel momento in poi, Stefano Okaka trascorre 5 anni come tesserato della Roma, vestendo le maglie di altrettanti club in prestito (Modena, Brescia, Fulham, Bari e Parma), tra Serie BA e Premier League. I risultati in queste compagini sono vari, con esperienze esaltanti, come le prime in Italia, ed altre meno. I ducali nell’estate del 2012 riscattano il classe ’89, acquistandolo a titolo definitivo, ma il trasferimento che resta più nel cuore e nella mente dei tifosi romanisti è, probabilmente, quello al Fulham; non tanto per i risultati ottenuti in Inghilterra, quanto per l’ultimo atto nella squadra romana prima della partenza. È il 30 gennaio 2010 e la Roma, impegnata nella rincorsa Scudetto all’Inter, sfida in casa il Siena. La gara è bloccata sull’1-1 e Ranieri, con Totti, Vucinic e Toni in tribuna per vari infortuni, nel secondo tempo inserisce Okaka al posto di Brighi. Il giorno dopo, a Fiumicino, c’è un aereo direzione Londra che lo aspetta per portarlo al Fulham, ma l’attaccante decidere di salutare il popolo romanista in gran stile. A due minuti dal termine del tempo regolamentare, il centravanti gira in porta con il tacco il pallone servitogli da Pit e corre verso la Curva Sud, rincorso da Daniele De Rossi che, con la solita vena gonfia, gli urla di tutto. Parole intuibili dal labiale, non trascrivibili in un articolo, e che riassumeremo con un semplice e stupito: “Ma che cosa hai fatto?”.

La Samp, la Nazionale ed il presente in bianconero

Negli anni successivi al suo passaggio al Parma, Stefano Okaka gira ancora molto, accostando esperienze all’estero con le maglie di Anderlecht e Watford, ad altre in Italia con Spezia, Sampdoria ed Udinese. I suoi anni migliori, senza dubbio, sono quelli che vanno dal 2013 al 2016, ai tempi di Sampdoria ed Anderlecht. In queste due esperienze, Okaka viene messo al centro del progetto e, giocando con una certa frequenza, torna ad affinare il suo feeling con la porta avversaria. I risultati ottenuti in rossoblù gli permettono anche di arrivare a vestire la maglia della Nazionale, sotto la guida tecnica di Antonio Conte. Disputa 4 partite con l’Italia, tra il 2014 ed il 2016, segnando il gol vittoria al debutto, in un’amichevole contro l’Albania. Dal gennaio del 2019 ad oggi, l’attaccante scuola Roma è sotto contratto con l’Udinese ed il suo rendimento in Friuli è promettente: 11 reti in 38 gare. Uno stato di forma che ha portato Stefano a confessare recentemente in un’intervista di auspicare ad una convocazione da parte del CT Mancini, per gli Europei in programma nel giugno del 2021.

(S. Valdarchi)

L’idea della Roma: i tamponi finanziati dal club

[…] Una società più di altre ha immaginato una strada virtuosa e l’ha indicata alle consorelle. E questa società è la Roma. La questione parte da una collaborazione che è stata stretta da quasi un anno (l’accordo risale ad agosto 2019) con il Campus Bio-Medicodi Trigoria. […]

La Roma dunque si è detta disponibile a collaborare con i ricercatori finanziando almeno in parte questa attività. Così da un lato il club avrebbe la garanzia di poter sottoporre tutti i suoi uomini e le sue donne (calciatori, staff, collaboratori e tutti i familiari) ai test, dall’altro consentirebbe al Campus Bio-Medico di proporre all’utente finale, il comune cittadino, l’accesso a un sistema di test a basso costo e quindi alla portata di ogni tasca. La società raggiungerebbe il suo obiettivo e contemporaneamente la comunità ne trarrebbe enorme giovamento. Nell’idea della Roma, attivando ogni società questo tipo di percorso virtuoso ognuna con una struttura ospedaliera di riferimento, si potrebbe garantire la ripresa del campionato ma anche aiutare il paese ad uscire da questa crisi spaventosa. […]

Fonte: Il Romanista

LEGGI L’ARTICOLO COMPLETO

[…] Una società più di altre ha immaginato una strada virtuosa e l’ha indicata alle consorelle. E questa società è la Roma. La questione parte da una collaborazione che è stata stretta da quasi un anno (l’accordo risale ad agosto 2019) con il Campus Bio-Medicodi Trigoria. […]

La Roma dunque si è detta disponibile a collaborare con i ricercatori finanziando almeno in parte questa attività. Così da un lato il club avrebbe la garanzia di poter sottoporre tutti i suoi uomini e le sue donne (calciatori, staff, collaboratori e tutti i familiari) ai test, dall’altro consentirebbe al Campus Bio-Medico di proporre all’utente finale, il comune cittadino, l’accesso a un sistema di test a basso costo e quindi alla portata di ogni tasca. La società raggiungerebbe il suo obiettivo e contemporaneamente la comunità ne trarrebbe enorme giovamento. Nell’idea della Roma, attivando ogni società questo tipo di percorso virtuoso ognuna con una struttura ospedaliera di riferimento, si potrebbe garantire la ripresa del campionato ma anche aiutare il paese ad uscire da questa crisi spaventosa. […]

Fonte: Il Romanista

LEGGI L’ARTICOLO COMPLETO

La meglio gioventù – Andrea Bertolacci: un romano a Genova. Dagli inizi al Lecce all’estate da svincolato

(S. Valdarchi) – Il salto dalla Primavera al professionismo è tutt’altro che semplice, le carriere di diversi calciatori ne sono la prova. Altri invece riescono ad affermarsi ad alti livelli, ma pur essendo cresciuti nella squadra della propria città, la squadra per la quale da sempre fanno il tifo, non riescono mai a debuttare con quei colori. È il caso di Andrea Bertolacci, nato a Roma l’11 gennaio del 1991. Centrocampista dotato di un’ottima tecnica, entra a far parte del settore giovanile romanista nel 2006 e ci rimane per quasi quattro stagioni, giocando per un anno e mezzo con la Primavera di Alberto De Rossi. Il suo cartellino, in alcuni momenti diviso in comproprietà, resta della Roma fino al 2015, ma Bertolacci non ha ancora mai giocato un minuto con la società capitolina.

Tra Lecce e Genoa

Nel gennaio del 2010, la Roma decide di cedere in prestito per 18 mesi Bertolacci al Lecce, squadra allora in Serie B. Nella prima mezza stagione in Puglia, il classe ’91 disputa 6 gare e partecipa alla promozione dei salentini nella massima categoria. Nella stagione successiva arriva l’approdo in Serie A, con 9 presenze totali, numeri che convincono lo stesso il Lecce a riscattarlo. Il club romano però fa valere il diritto di contro-riscatto, concedendo ai pugliesi un altro prestito, questa volta secco, dalla durata annuale. Il 2011/12 rappresenta il campionato della sua consacrazione e termina con 28 apparizioni all’attivo e 3 reti, una delle quali proprio in un Roma-Lecce terminato 2-1.
Nell’estate del 2012 rinnova il suo contratto con la Roma, prolungando per 5 anni, ma viene ceduto a luglio al Genoa, in comproprietà. Rimane in rossoblù per 3 stagioni, giocando da titolare in un club di media-classifica e varcando la soglia delle 100 presenze in Serie A. In Liguria però si comincia a notare la sua tendenza ad infortunarsi, caratteristica che lo ha portato nella sua carriera a fermarsi 15 volte per problemi muscolari.

Gli anni a Milano e l’estate da single

Il 23 giugno del 2015, il ds romanista Walter Sabatini riscatta la metà del suo cartellino per 8,5 milioni di euro, prima di cederlo qualche giorno dopo al Milan per 20 milioni, all’interno dell’operazione che porta in rossonero anche Alessio Romagnoli.
Il primo anno a Milanello rimane ad oggi probabilmente il più felice della carriera di Bertolacci. Sinisa Mihajlovic lo considera una pedina fondamentale nel suo scacchiere tattico ed arriva a vestire con una certa regolarità anche la casacca azzurra della Nazionale. Dalla stagione successiva, invece, lo spazio il Lombardia per lui si riduce, fatto che porta la società a cederlo in prestito nel 2017, ancora una volta al Genoa.
Dopo l’ennesima parentesi genoana, il centrocampista romano resta a disposizione del Milan fino a giugno 2019, scendendo in campo però soltanto in quattro occasioni, tutte in Europa League. Il suo contratto viene portato a scadenza e trascorre l’estate da svincolato di lusso.

Alla ricerca del riscatto

I mesi passano, ma l’offerta giusta tarda ad arrivare e la stagione 2019/20 inizia con Andrea Bertolacci ancora senza una squadra. Le cose però cambiano in fretta e, ad inizio ottobre, arriva un’altra chiamata da Genova, questa volta sponda blucerchiata. Il classe ’91 firma con la Sampdoria un contratto con scadenza al giugno del 2020 ed esordisce il 20 ottobre al Ferraris, nel pareggio a reti bianche contro la Roma. Da quel momento in poi, Bertolacci gioca altre 6 gare sotto la guida di mister Ranieri, fino allo stop del calcio dovuto dal Coronavirus.

(S. Valdarchi)

Viaggiando nella Hall Of Fame: Roberto Pruzzo, missione Bomber

Pagine Romaniste (F. Belli) – Il primo gol segnato alla Roma con la maglia del Genoa. Il gol dello scudetto segnato con la maglia della Roma al Genoa. L’ultimo in carriera segnato di nuovo alla Roma con la maglia della Fiorentina. Chiamatelo se volete destino, ma nella vita di Pruzzo la Roma è una costante fissa, invariabile, immutabile. Del resto Antonhy Robbins diceva che il destino di un uomo viene definito dai suoi pensieri e dalle sue azioni, non può cambiare il vento del fato ma può indirizzarne le vele. Allora siete liberi di credere al destino, alle coincidenze, ma io non ci credo. Non può essere tutta una casualità la vita “der bomber de Crocefieschi”, come veniva chiamato in Boris. Come detto, esordisce al Genoa prima di trasferirsi poco dopo alla RomaNon c’è nessun colpo di fulmine, nessun amore a prima vista, alla fine della prima stagione medita di andarsene. I tifosi non sono convinti e in un libro Fulvio Stinchelli ricorda un aneddoto interessante parlando con “Fuffo” Bernardini allo stadio: “Seguendo una fase di gioco mi sfuggì un apprezzamento: Però, questo Pruzzo, a volte, fa venire il latte alle ginocchia. Senza voltarsi, continuando a fissare il campo, il Dottore sibilò: “Non bestemmiare! Pruzzo è un attaccante eccezionale. Come difende la palla lui, non ce n’è altri”. La benedizione sacra del professore.

Il gol salvezza con l’Atalanta e “Lode a te Roberto Pruzzo”

Laudato sia il professore e il bomber rimane, segnando il gol all’Atalanta che salva i giallorossi dalla Serie B. Sembra strano, ma quel gol salvezza è il primo vero pilastro per le vittorie degli anni ’80. Il bomber col baffo segna a ripetizione e dalla Curva Sud nasce un coro che provoca il Grande Scisma: “Lode a te Roberto Pruzzo”. Regala ai tifosi delle gioie incommensurabili, ma Pruzzo non è un bomber normale. E’ un bomber che soffre. Soffre la sconfitta e soffre le delusioni di campo. Nella sua autobiografia riassume la sua carriera in modo simil tragico: “Cosa mi resta della mia carriera da centravanti? I gol sbagliati e le sconfitte. Delle vittorie ho goduto poco, perché sono subito volate via. Le sconfitte no, sono rimaste qui. E ancora ci combatto. La retrocessione in B del Genoa causata anche da un mio rigore sbagliato e la finale di Coppa Campioni persa con il Liverpool ancora mi vengono a trovare ogni tanto”. Non è facile convivere con i fantasmi del passato. Del resto il dolore peggiore che un uomo può soffrire, diceva Erodoto, è quello di avere comprensione su molte cose e potere su nessuna. E purtroppo il passato non è solo ciò che è successo, ma anche ciò che avrebbe potuto succedere ma non è avvenuto, rimpianti che segnano il destino di un grande campione. Pagine Romaniste (F. Belli) 

La meglio gioventù – Alessandro Florenzi: una favola dal finale dolceamaro

(S. Valdarchi) – Essere il capitano della Roma, non è lo stesso che esserlo in una qualsiasi altra squadra. Chi tifa questa squadra lo sa. Probabilmente dall’esterno si fa più fatica a comprenderlo, ma è così. Da Fulvio Bernardini ad Agostino Di Bartolomei, da Giacomo Losi a Daniele De Rossi, passando per il regno ventennale di Francesco Totti: storie di giocatori diventati simboli di una tifoseria. Arrivare dopo lo storico 10, uomo che ha infranto ogni record immaginabile con la maglia romanista indosso, ed il centrocampista di Ostia non è semplice per nessuno e non lo è stato per Alessandro Florenzi. Non avendo la tecnica dell’uno ed il romanticismo dell’altro, Florenzi ha provato ha colmare queste lacune con l’umiltà, il cuore e lo spirito di sacrificio, ma non sempre agli occhi dei tifosi questo è bastato. Dopo 280 presenze in giallorosso, nello scorso gennaio il classe ’91 ha lasciato la Capitale per approdare al Valencia. Il suo futuro è ancora oggi incerto, ma facciamo un passo indietro e vediamo il suo percorso fin dai tempi delle giovanili.

Gli inizi: tra Primavera e Crotone

Alessandro Florenzi approda in Primavera nel 2008 e disputa tre stagioni a disposizione di mister Alberto De Rossi, arrivando ad indossare anche la fascia di capitano nel 2010/11. Nella sua ultima annata con i giovani vince lo Scudetto, giocando da mediano nel 4-3-3 del tecnico romano. Nella stessa stagione arriva anche il suo esordio tra i professionisti, quando il 22 maggio del 2011 subentra a Francesco Totti in un Roma-Sampdoria terminato 3-1.
Nella sessione di mercato estiva viene ceduto in prestito al Crotone in Serie B. In Calabria vive un campionato da protagonista, scendendo in campo per 37 volte e siglando 11 reti. Viene premiato come “Miglior giovane della Serie B 2011/12”, convincendo i rossoblù a riscattarlo. La Roma però, vista la crescita impressionante di Florenzi tra i cadetti, decide di far valere il suo diritto di controriscatto e lo riporta a Trigoria.

Ale Multiuso

Da quel momento in poi, Alessandro Florenzi diventa un pilastro della Roma. Cambiano gli allenatori, cinque di preciso, ma nessuno mette mai in dubbio la sua presenza nello scacchiere tattico. Anche se la sua posizione non rimane mai la stessa. Dopo aver giocato da mediano in Primavera, Zdenek Zeman lo lancia come intermedio nel suo centrocampo a 3. Un ruolo che esalta le capacità d’inserimento del classe ’91, in grado di partecipare a 9 reti stagionali (4 gol e 5 assist) a soli 20 anni. La sua vena realizzativa sboccia definitivamente con Rudi Garcia in panchina. Il ragazzo di Vitinia compone il tridente insieme a Totti e Gervinho, in una squadra che nei primi tempi gira a perfezione e centra il traguardo delle 10 vittorie consecutive. L’allenatore francese, nei suoi due anni e mezzo in giallorosso, scopre la grande abilità di Florenzi nell’adattarsi e lo sposta, a seconda delle gare e delle esigenze, tra attacco, centrocampo e difesa. In un calcio moderno, in cui i ruoli classici e definiti perdono il loro valore, il prodotto del vivaio romanista si riscopre anche terzino destro. Nelle stagioni successive, il numero 24 gioca ovunque nella catena di destra, arrivando a disputare ben 280 partite con la Roma, condite da 28 gol e 32 assist.

Il rinnovo di Dzeko, Fonseca ed il Valencia

Dopo 16 anni nella Roma, considerando anche le giovanili e al netto della parentesi al Crotone, per Alessandro Florenzi arriva il momento di indossare la fascia di capitano. Siamo nell’estate del 2019. A dire il vero, il numero 24 lo è già stato in moltissime occasioni, ma dopo l’addio di De Rossi sta a lui raccogliere l’eredità e guidare la squadra. Non è più il vice di nessuno, ora tocca a lui. Al Fulvio Bernardini è tempo di grandi cambiamenti: oltre a DDR lascia anche Totti, dopo due anni da dirigente, e arrivano Petrachi e Fonseca, che prendono in mano la gestione dell’area tecnica. La sessione di mercato vede i soliti avvicendamenti e sul piede di partenza sembra esserci anche Edin Dzeko, in procinto di firmare con l’Inter di Antonio Conte. Tra i due club non c’è intesa economica, ma il bosniaco resta comunque con un contratto in scadenza da lì ad un anno. In quell’occasione, Florenzi compie il primo, grande gesto da capitano ed offre al centravanti la sua fascia, in cambio di una sua permanenza nella Capitale. Il 9 firma il contratto, ringrazia dell’offerta il terzino e, come giusto che sia, la declina.
Si chiude la finestra dei trasferimenti e parte il calcio giocato, ma le prove non sono finite qui. Paulo Fonseca, arrivato dallo Shakhtar Donetsk, non trova un posto al classe ’91 nella sua formazione tipo e, dopo annate da titolare fisso, Alessandro Florenzi si vede costretto a sedersi in panchina. Come accennato all’inizio, dove non è potuto arrivare con tecnica e romanticismo, il tuttofare ha messo umiltà, cuore e spirito di sacrificio. Le assenze dal campo pesano, soprattutto con un Europeo alle porte, ma non esce mai una parola fuori posto, perché la Roma viene prima di tutto e io ho cercato di fare questo, ho messo la Roma davanti a me“.
I mesi passano ed i protagonisti della vicenda, Fonseca e Florenzi, si parlano chiaramente e decidono insieme che per il bene di tutti è meglio trovare una soluzione nel mercato invernale. Così, nel gennaio del 2020 arriva la partenza per Valencia, in prestito secco. Tra varicella e Coronavirus, in Spagna non hanno ancora potuto apprezzare il romano, mentre il suo futuro resta tutto da scrivere.

(S. Valdarchi)

Cristante, una crisi di identità lunga due anni

(Jacopo Venturi) – Dove gioca Bryan Cristante? Il campo in questi due anni sembra aver dato una risposta più o meno univoca, vedendo l’ex Atalanta spesso davanti alla difesa in un centrocampo a due. Ma siamo sicuri che sia la posizione nella quale rende meglio? Le prestazioni, soprattutto quelle della stagione in corso, sembrano suggerire qualcosa di diverso. Cristante è stato elogiato in questo anno e mezzo di Roma da Di Francesco, Ranieri e Fonseca per la sua intelligenza tattica e per la capacità di portare sul rettangolo di gioco le idee dei tecnici. È indubbio che il numero 4 sia un giocatore geometrico e pulito, ma spesso gli sono mancate altre caratteristiche vitali per un centrocampista, soprattutto in una mediana a due. La scarsa rapidità sarebbe anche un problema di secondo piano se fosse compensata da una veemenza fisica di primo livello, ma la questione è che Cristante non possiede nessuna di queste caratteristiche e ciò non lo rende un giocatore scarso, ma semplicemente poco funzionale a quel ruolo. Ruolo nel quale sembra però essere stato ormai relegato. D’altro canto in un sistema 4-2-3-1 è anche vero che, l’unica alternativa sarebbe metterlo nella posizione di trequartista. Ma nella Roma di trequartisti ce ne sono già tanti e soprattutto Fonseca chiede più fantasia di quanta non ne abbia Cristante in quel fazzoletto di campo.

(Jacopo Venturi)