Pagine Romaniste (F. Belli) – Ognuno di noi è un eroe quando fa felice qualcuno. Il vero gesto eroico nel calcio, gesto capace di far scattare in piedi migliaia di persone dalla gioia, è il gol, di cui sopratutto l’attaccante è artefice. All’estremo opposto c’è il portiere che ha come ragion d’essere il negare questa gioia. Il “villain” di questa storia non ha bisogno di un vestito nero e nemmeno di un ghigno malvagio, ma solo di un paio di guanti. Ne ha avuti tanti la Roma di questi villain, ma pochi sono rimasti nella storia. Uno di loro è Guido Masetti, lo storico portiere dell’era Testaccio. “C’è Masetti ch’è primo portiere” diceva la canzone. Esordisce con la maglia del Verona e nel 1929 vuole trasferirsi nella Capitale: gli viene negata la cessione e così, per ripicca, rescinde il contratto e va a giocare in un campionato alternativo, l’Unione Libera Italiana di Calcio, in una squadra da lui fondata. Già questo dice molto sul personaggio. Trascorre un anno sabbatico un po’ particolare e poi finalmente arriva il provino con la Roma. Non convince però l’allenatore Burgess: “Di portieri come lei ce ne sono altri mille”. Ma “Fuffo” Bernardini si impunta e alla fine si arriva alla firma del contratto. Sarà il parametro 0 più importante della storia della Roma, anche se il parametro 0 all’epoca ancora non esisteva.
La Coppa del Mondo e il Tricolore del ’42
È anche un uomo spogliatoio il “ciancicone”, cosi chiamato dai tifosi per quel vizio di masticare in continuazione. Lo dimostra più volte. Come quando all’esordio in maglia capitolina si assume la responsabilità per un gol preso anche se gran parte della colpa era di De Micheli. O come quando, alla vigilia della finale della Coppa del Mondo del 1938 contro l’Ungheria, ottiene dal ct Pozzo un ruolo particolare: “La sera prima della gara dopo il consuetudinario “rapporto”, avevamo sguinzagliato Masetti. Bisognava distrarre i giocatori, non lasciarli pensare troppo all’avvenimento di cui erano protagonisti, farli dormire sonni tranquilli. E Masetti aveva superato se stesso, sfoderando tutto il suo repertorio di barzellette, di imitazioni, di scherzi. Addormentandosi i giocatori ridevano ancora. Si andava bene”. Gli azzurri vincono 4-2 e bissano il titolo mondiale di quattro anni prima. Perché Masetti, pochi lo ricordano, è anche un due volte campione del Mondo. Ma la gioia più grande della carriera, ci perdonerà la buonanima di Pozzo, è lo scudetto del 1942. Il primo tricolore a Roma lo alza il ciancicone, anche se appena un anno prima era a un passo dal Padova. Messo in lista trasferimenti e fuori dal gruppo, dopo 6 mesi la squadra rischia di retrocedere e viene reintegrato. Siamo tra la fine del 1940 e l’inizio del 1941 e il resto, il finale di quella stagione e i trionfi di quella successiva, come si suol dire è storia. Una storia di calcio, una storia di coppe e di un campione, e di un amuleto. Perché dopo quello scudetto per rivivere quei momenti i tifosi giallorossi dovranno attendere altri 41 anni, incatenati in una sorta di limbo d’agonia sportiva. E nel 1983 a Genova Falcao e company decidono di portarselo dietro come portafortuna in tribuna, e non è finita male. E’ un ruolo ingrato quello del portiere, solitario e colmo di responsabilità. Un cattivo, appunto, non un eroe. Come diceva Barthez: “La vita è fatta di piccole solitudini, quella del portiere di più”. Pagine Romaniste (F. Belli)