Pagine Romaniste (F.Belli) – “Chi ha volontà, non teme povertà”, recita un proverbio. Un’antica massima di saggezza popolare che calza a pennello ad Amedeo Amadei. Una stella di un calcio che non c’è più, entrato in punta di piedi nella Hall of Fame con i suoi 111 gol in maglia giallorossa e 200 totali in carriera. Eppure, prima di diventare calciatore, il destino aveva in riserbo per lui ben altri progetti. Il padre, Romeo, era proprietario di un antico forno di Frascati e di aiutare il figlio a coltivare questa passione proprio non ne voleva sentir parlare. Amedeo deve portare a casa la pagnotta, letteralmente, punto e basta. Nulla di strano: non sono tempi facili e non sempre, anche se c’è un amico in più, si può aggiungere un posto a tavola. Ma non importa. Un pomeriggio quell’impacciato ragazzino di 14 anni sale sulla bici che usa per le consegne e fa un giro più lungo del solito. Si è perso, dirà poi ai genitori, ma è una balla e nessuno ci crede. Conosceva troppo bene quelle vie il fornaretto, come lo chiameranno in seguito i tifosi, per perdersi. E’ andato a Testaccio, dove la Roma sta facendo dei provini per giovani emergenti. Amedeo è una forza della natura, è velocissimo e segna che è un piacere. Supera il provino, lui uno tra pochi, e a 15 anni e 9 mesi, esordisce in Serie A. Stabilisce così un record che sarà eguagliato da Pellegri solo 79 anni dopo. Sette giorni dopo segna e stabilisce anche il record di marcatore più giovane di sempre, che detiene ancora oggi non eguagliato da nessuno.
La consacrazione, la guerra e il giuramento
Nasce ala ma, quasi per grazia divina, è costretto a spostarsi al centro dell’attacco. Il guru del calcio argentino e compagno di squadra Providente è entrato infatti in rotta di collisione con l’ambiente, una sorta di Carlos Bianchi ante litteram, e serve un sostituto. Chi meglio di Amedeo? La consacrazione del fornaretto avviene nel 1941-1942 con la vittoria del primo scudetto della storia della Roma. Al termine di quella stagione lui stesso si definirà un frascarese di nascita ma testaccino d’adozione. Spira un vento di guerra però, che tutto divora e niente lascia. La stagione successiva la Roma stenta, anche perché orfana dell’allenatore Scahffer, chiamato alle armi in madrepatria Ungheria. L’anno successivo nel corso di una gara col Torino, viene squalificato a vita per aver dato un calcio all’arbitro dopo un parapiglia generale. Quel calcio però, il fornaretto, non l’ha mai dato. E’ stato il suo compagno di squadra Diagianti, che lo ammetterà anni dopo. Ma il fornaretto tace, non mette nei guai un compagno e subisce il processo. Sarà poi amnistiato, ma l’onta resta. Sono mesi difficili e anche il forno che era del padre e prima di lui del nonno viene seppellito tra le macerie dei bombardamenti. Finita la guerra i capitolini scendono sempre più in basso nella classifica e il testaccino d’adozione è costretto ad andarsene. Con un giuramento però: quello di non poter mai giocare contro la Roma, “perché non si può chiedere a un figlio di pugnalare sua madre”. Del resto la fedeltà non ha scadenza, come quella del fornaretto per la sua Roma.
Francesco Belli