Roma-Napoli 0-1: le pagelle. L’amor proprio viene fuori solo nel finale. Brutto stop per DiFra

Simone Indovino – Ritorno dalla sosta amaro per la Roma che è costretta ad arrendersi al Napoli all’Olimpico. Vittoria di misura per gli ospiti che ottengono l’ottava vittoria di fila grazie a una rete di Insigne, maldestramente servito da un impreciso De Rossi. I ragazzi di Di Francesco non riescono a macinare gioco per 65 minuti; l’orgoglio viene scoperto solo nella parte finale di gara, in cui i capitolini colgono un palo e una traversa ma non riescono ad agguantare il pareggio sperato.

ROMA

Alisson 6 – Non può nulla sul gol subito. Qualche errore di troppo con i piedi in avvio ma nel corso dei 90 minuti si comporta in maniera corretta quando viene chiamato in causa dagli avversari.

Bruno Peres 5.5 – Non accusa particolarmente la velocità di Insigne sulla fascia destra, difendendo con ordine seppur con confusione. Troppo timido in avanti, non tenta mai di andare in velocità anche quando ha più porzione di campo.

Manolas 5.5 – Prima frazione di gioco complicata, il greco impiega troppo tempo a capire i movimenti di Mertens e spesso si fa infilare in velocità, così come nell’occasione della rete subita seppur l’errore maggiore è di De Rossi rispetto a lui. Cresce nella ripresa, togliendo spesso le castagne dal fuoco prima di uscire per un problema fisico.

J.Jesus 5.5 – Così come il compagno di reparto, accusa troppo i movimenti degli attaccanti partenopei nelle prime battute di gioco. Quando il Napoli si abbassa riesce ad arginare Mertens con più facilità.

De Rossi 5 – Una brutta serata per il Capitano romanista, che ha sulla gobba la rete subita. Un errore serve un pallone comodo a Insigne, che non sbaglia. Per il resto, troppi errori in manovra con conseguenti palloni persi e poca incisività in fase di ripiego.

Pellegrini 6.5 – Nonostante l’inattività causata dal problema fisico in questa pausa per le nazionali, il centrocampista mantiene il suo buon stato di forma ed è il più propositivo della partita odierna. Tanto movimento e lavoro di raccordo tra le diverse fasi, lascia il campo nel finale.

Nainggolan 6 – Di Francesco lo fa svariare molto all’interno del terreno di gioco. Non lascia il segno in zona gol, anche se offre un prezioso apporto per quanto riguarda la prestanza fisica al resto della squadra.

Florenzi 5.5 – Gara forse di troppa alta intensità per il classe ’91 che non ha, con tutta probabilità, ancora lo smalto di un tempo, anche se si rende molto disponibile per dare una mano a Bruno Peres in zona arretrata. Poca qualità in avanti.

Perotti 5 – 70 minuti di buio per l’argentino, che viene tuttavia fuori nel finale tentando qualche accelerazione e alcuni cross. Troppo poco per un calciatore con le sue qualità che può sempre impensierire una difesa avversaria.

Dzeko 6 – L’abnegazione di certo non manca. Lotta tutta la partita in maniera piuttosto isolata con i giganti difensori napoletani, Koulibaly su tutti. Più coinvolto nella ripresa, sfiora la marcatura con un colpo di testa che dà un bacio alla traversa per il dispiacere dei tifosi sulle tribune.

Fazio 6.5 – Ingresso molto positivo del gigante che, giallo rimediato a parte, difende benissimo contro i piccoletti avversari. Vicinissimo alla prima marcatura stagionale che avrebbe regalato il pareggio: la sua splendida torsione di testa è respinta solo da un intervento felino di Reina.

Gerson s.v. – Rileva uno stremato Pellegrini, accennando un voglioso pressing nel finale.

Under 5.5 – Conferisce un po’ di vivacità alla manovra capitolina, rendendosi protagonista di qualche spunto positivo. A ridosso del fischio finale ha una buona occasione sul piede sinistro che non riesce a sfruttare al meglio.

Di Francesco 5.5 – Una battuta d’arresto che fa male per la sua Roma. La qualità degli avversari e le mosse tattiche di Sarri mettono in difficoltà l’allenatore che non trova subito le contromisure. Solo nel finale la sua squadra prova a tirare fuori il carattere ma, sfortuna e bravura di Reina a parte, il tempo è troppo poco per riprendere in mano la situazione.

Simone Indovino

Roma e Juventus sulla stessa barca…barcollante

Gianluca Notari – La Roma e la Juventus. Una rivalità ultratrentennale, fatta di sfide politiche e sociali prima che sportive per molti anni, meramente calcistiche, ma ugualmente intense, negli ultimi periodi. Da più parti, nei giorni scorsi, si è incensato il grande sabato di calcio di questo weekend: i bianconeri che sfidano l’ottima Lazio di Inzaghi, i giallorossi che affrontano il Napoli dei marziani. E le prime due della classe dello scorso anno, sconfitte entrambe. A -5 dalla vetta i piemontesi, addirittura a -9, ma con una partita da recuperare, i capitolini. Insomma: Juve e Roma sulla stessa barca, situazione figlia di scelte societarie discutibili per entrambi i club, cornute prima e mazziate poi da un Napoli che sembra inarrestabile.

La Juventus, dopo la finale persa di Cardiff contro il Real Madrid, è entrata in un tunnel da cui non sembra riuscire a venir fuori. I contrasti nel gruppo, con l’allenatore e tra i giocatori stessi – da cui poi la partenza di Bonucci, direzione Milan – sono stati resi noti da più spifferi usciti fuori dalle mura dello spogliatoio. In particolar modo durante la finale di Champions League, quando tra il primo ed il secondo tempo sembra esser scoppiato il parapiglia tra il difensore viterbese ed alcuni compagni, Dybala su tutti. E se c’è una cosa che ha contraddistinto la Juventus in tutti questi anni di predominio, è stata certamente il collettivo. Se quello viene meno, sono guai. Inoltre, se ci si mette una gestione del mercato quantomeno rivedibile, che le cose possano non andare per il verso giusto è la prima logica conseguenza. Salutati Bonucci e Dani Alves, Marotta e Paratici hanno investito su Howedes e De Sciglio, che fino ad ora, complici anche diversi infortuni, non hanno praticamente mai visto il campo. In più, per il ruolo di sostituto di Alex Sandro sulla sinistra è rimasto solamente Asamoah, dato già per partente durante l’estate e rimasto solo perché non è arrivato un suo sostituto all’altezza. Grossi investimenti invece sono stati fatti nel reparto avanzato, ma Douglas Costa e Bernardeschi sembrano ancora non decollare. Ciliegina sulla torta, il caso Higuain: nel vocabolario italiano accanto alla voce “gol” c’è la sua faccia, ma inspiegabilmente quest’anno l’argentino non riesce ad andare a segno con continuità, finendo anche in panchina in un paio di occasioni.

E poi c’è la Roma. Cambio di allenatore, via diversi giocatori dal peso non indifferente, molti acquisti, ma molta confusione. La novità migliore rispetto alla scorsa stagione è senza dubbio quella che riguarda la rosa: i giallorossi ad oggi sulla carta sono una squadra completa, profonda e ricca di profili giovani ed interessanti, così come giovane ed interessante è l’allenatore. Però, giovani ed interessanti difficilmente sono sinonimo di vittoriosi. Anzi. La scelta di Di Francesco ricorda vagamente quella che fu di Luis Enrique: allenatore giovane che ha in testa un calcio fresco e dinamico, ma con poca esperienza a certi livelli sulle spalle ed un carisma tutto da testare. Fino ad oggi il tecnico abruzzese si barcamenato con discreta sicurezza tra le difficoltà, ed è chiaro che senza aver mai avuto tutta la rosa al completo, tra cui i due acquisti più importanti della campagna di mercato estiva – Schick e Karsdorp-, il lavoro si complica non poco. Il problema, se mai di problema si può parlare, è a monte. Di Francesco ha bisogno di tempo, molto tempo, per far assimilare ai suoi giocatori un’idea di calcio complessa e dispendiosa. Ma la Roma e i romanisti di tempo ne hanno buttato fin troppo, inseguendo sogni ed icone totemiche piuttosto discutibili. Il progetto Di Francesco poteva essere sposato da una squadra che ha vinto negli anni passati, o che abbia necessità di ricostruire dopo un qualche tipo di cataclisma. Ma la Roma di Spalletti non era nulla di tutto ciò. Era una squadra forte, certamente perfettibile, ma che con 87 punti ha fatto meglio di ogni altra Roma nella storia del club. Serviva un passo in avanti per raggiungere una tanto agognata vittoria, e non un progetto in cui credere. La sola parola ‘progetto‘ scatena nel tifoso giallorosso orticaria, secchezza della fauci e dolori articolari. Probabilmente il futuro di Di Francesco e della Roma sarà roseo, ma Pallotta&co. dovrebbero tenere a mente che esiste anche un presente, in cui i tifosi continuano a sperare.

Insomma, Roma e Juventus a braccetto nella malinconia di questo turno di campionato, lontane dalla vetta e lontane dai programmi di inizio stagione. Unite ma divise da rivalità ataviche, e fa specie dirlo ma dispiace quasi vedere una Juventus in difficoltà. O per meglio dire, dispiace che non sia stata proprio la Roma la causa di queste difficoltà, poiché in una fase di transizione anch’essa.
Non la vedi, non la tocchi oggi la malinconia? Non lasciamo che trabocchi: vieni, andiamo, andiamo via” canta Guccini in “Autogrill“. E come quando si è in un momento di difficoltà e si crede che un viaggio possa rimettere a posto le cose, così Roma e Juventus si rituffano in Europa con gli impegni di Champions, per provare a non pensare ad un turno di campionato che ha tolto loro il sorriso e qualche certezza.

Gianluca Notari

1997, Roma-Napoli 6-2. Primo gol giallorosso in Serie A per Di Francesco

Luca Fantoni – Autunno 1997. La Roma ha concluso la stagione precedente con un deludente 12° posto. Franco Sensi chiama a guidare la squadra un tecnico che, solo sei mesi prima, era sulla panchina della Lazio, Zdenek Zeman. Il boemo, grazie a partite pirotecniche e buoni risultati, ci mette poco a fare breccia nella diffidenza della tifoseria giallorossa. Dopo il discreto avvio in campionato, con due vittorie e due pareggi, di cui uno con la Juve, come avversario arriva all’Olimpico il Napoli di Mutti. I partenopei si presentano con poche aspirazioni e con una squadra modesta, che annovera tra i giocatori migliori il portiere Taglialatela, Igor Protti e un giovane Bellucci. I giallorossi, al contrario, esibiscono una formazione dai nomi altisonanti. Konsel difende i pali, Cafù a destra, entrambi arrivati quell’estate, Aldair e Petruzzi al centro, con Candela a sinistra. Di Biagio gioca come mediano e, davanti a lui, agiscono Tommasi ed Eusebio Di Francesco. L’attuale tecnico della Roma fu acquistato in quella sessione di mercato estivo, dopo due ottime stagioni al Piacenza. In attacco Totti assiste le due punte Balbo e Gautieri.

LA PARTITA – Il match contro il Napoli è l’esempio perfetto del calcio zemaniamo. Pressing asfissiante e difesa altissima. Nei primi minuti la Roma spinge e trova subito il vantaggio grazie a Candela, che vince un rimpallo con Prunier e batte Taglialatela con un tiro a giro. Al 34° Di Francesco comincia a dare spettacolo, saltando con una finta il difensore e appoggiando a Gautieri che con il destro piazza la palla all’incrocio dei pali per il 2-0. Nel secondo tempo i capitolini dilagano. Per primo trova il gol Balbo, che firma la sua 100° rete in campionato, e poi proprio Di Francesco che, sugli sviluppi di un angolo, calcia forte con il destro e cala il poker. Per l’abruzzese è la prima gioia in Serie A con la maglia della Roma, dopo aver segnato in Coppa Italia, un mese prima, contro il Verona. Dopo il 5-0 firmato ancora da Balbo, il Napoli prova a reagire con i gol di Altomare e Bellucci ma, ad un minuto dalla fine, sempre l’attaccante argentino fissa il risultato sul definitivo 6-2, realizzando la tripletta personale.

Il campionato della Roma si chiuderà al 4° posto, dopo una serie di alti e bassi in pieno stile Zeman. Una delle poche certezze di quella stagione fu Eusebio Di Francesco che diventerà, poi, una delle colonne portanti dello scudetto del 2001. Parte della sua crescita come giocatore è passata anche per quella partita contro il Napoli. Questa volta, da allenatore, Di Francesco spera che la sua Roma possa diventare grande attraverso un’altra vittoria sui partenopei, anche se non sarà un 6-2.

Luca Fantoni

Verso Roma-Napoli

Margherita Bellecca – Accantonata la Nazionale, per la penultima volta nel 2017, torna il campionato. Sfida delicata per la Roma perché all’Olimpico arriva il Napoli di Sarri, primo in classifica con 7 vittorie su 7. I giallorossi inseguono a 6 punti, con una partita in meno, ma la strada che ha intrapreso Di Francesco sembra essere quella giusta per una possibile rimonta.

La Roma è tornata nel vortice degli infortuni e il tecnico abruzzese dovrà scegliere con più cura del solito l’11 da schierare. Nelle ultime ore c’è stato il forfait di El Shaarawy per un edema all’adduttore destro, problema accusato durante il ritiro dell’Italia. Attacco obbligato, quindi, con Florenzi, in gol contro il Milan, Perotti, rientrante dopo lo stop in Champions League, e Dzeko che vuole aggiornare le sue statistiche stagionali dopo essere entrato nei 30 che si contenderanno il Pallone d’Oro. Ancora in dubbio per un posto in panchina Schick mentre Defrel sarà ancora out.

I problemi più grandi Di Francesco li ha a centrocampo. De Rossi e Pellegrini sono recuperati ma non sono al top della condizione, Strootman, invece, al massimo si accomoderà in panchina. Chi è carico è Nainggolan che, dopo l’esclusione dai convocati del Belgio, è pronto a far cambiare idea a Martinez e a far gioire il popolo giallorosso. In difesa Alisson sarà protetto da Peres, Manolas, uno tra Fazio e Jesus, che si giocheranno il posto fino alla fine, e Kolarov. Recuperato Karsdorp che tiferà i suoi compagni dalla panchina.

Dall’altra parte del campo ci sarà il miglior attacco del campionato, 25 gol messi a segno, e una delle migliori difese, con 5 reti al passivo, anche se è proprio il reparto arretrato il punto debole del Napoli. Non sempre perfetti gli uomini di Sarri che si affiderà ancora una volta a Reina, Hysaj, Albiol, Koulibaly e Ghoulam. Qualche dubbio a centrocampo perché Allan e Jorginho sono insidiati da Zielinski e Diawara, utilizzati spesso a partita in corso. L’attacco, anche per via dell’infortunio di Milik, non verrà cambiato e sarà composto da Callejon, Mertens ed Insigne supportati da Hamsik che è tornato al gol contro il Cagliari.

Il bilancio totale tra le due squadre è a favore della Roma che ha trionfato 55 volte contro le 43 del Napoli. All’Olimpico la forbice si allarga con 36 vittorie per i giallorossi e 10 per i partenopei.

In una giornata scoppiettante dove si giocheranno anche Juventus-Lazio e Inter-Milan, la Roma è pronta a fare la voce grossa, quella voce che i 40 mila che saranno presenti all’Olimpico dovranno usare per spingere la squadra verso i tre punti.

Margherita Bellecca

Da Dzeko a Charles: cronistoria di una Roma… d’oro

Gianluca NotariTredici giocatori. Nella sua storia, la Roma ha avuto candidati in lizza per il Pallone d’Oro tredici calciatori, per un totale di diciotto candidature. Dopo due lustri in cui nessun giallorosso aveva raggiunto questo traguardo, quest’anno è toccato a Edin Dzeko: dopo aver vinto il titolo di capocannoniere della Serie A e quello di capocannoniere dell’Europa League, era difficile rimanere fuori dalla lista dei 30 migliori calciatori che giocano in Europa. Prima di lui però è toccato ad altri, giocatori simbolo della storia della Roma. L’ultimo fu Francesco Totti, nel 2007, l’anno in cui poi vinse la Scarpa D’Oro. Tornando ancora indietro nel tempo, nel 2004 fu inserito Traianos Dellas, fresco vincitore del più incredibile dei campionati Europei degli ultimi decenni. Nel 2003 ancora Totti, mentre nel 2002 fu la volta di Marcos Cafu, che da poco aveva sollevato nel cielo di Yokohama la quinta Coppa del Mondo della storia del Brasile. Nel 2001 toccò ancora al numero 10 insieme a Damiano Tommasi, testa e corpo della Roma tricolore, mentre nel 2000 di nuovo il Capitano, che durante l’estate si era reso autore dell’insano ‘cucchiaio’ a Van der Sar nella semifinale degli Europei, e Gabriel Omar Batistuta, appena trasferitosi in giallorosso.

Poi anni di vuoto, tornando indietro nel tempo fino al 1992, quando Thomas Hassler, in quegli anni sulla cresta dell’onda con la propria Nazionale, si piazzò al quarto posto, risultando tra tutti i romanisti quello che è arrivato più in alto. Per tre volte poi fu Rudi Voeller ad essere tra i 30 selezionati finali, nel 1987, nel 1990 e nel 1991. Poi Boniek nell’85, e Bruno Conti nell’82 e nell’83. Da qui in poi si va nella preistoria: Karl-Heinz Schnellinger nel 1963, quando era di proprietà della Roma ma giocava nel Mantova. In casacca giallorossa ci giocò la stagione successiva, quella ’64-’65, quando poi fu ceduto al Milan, di cui divenne una bandiera per ben nove anni. L’ultimo della lista, ed il primo in ordine temporale, fu John Charles: attaccante gallese classe 1931, giocò con la Roma per una sola stagione, mettendo a segno quattro reti in appena dieci presenze. Fu inserito nella lista per il Pallone d’Oro nel 1962, arrivando ottavo nella classifica finale.

Gianluca Notari

Di Francesco al Festival del Calcio: “Scelsi la Roma per Franco Sensi. Vince chi sbaglia meno. Schick ha l’istinto del campione”

Simone Burioni – E’ il momento del gran finale al“Festival del Calcio” che nell’ultima settimana ha visto Firenze diventare la capitale di questo sport nella prima edizione dell’evento. Questa mattina, presso il Caffè Paszkowski in piazza della Repubblica, Paolo Condò e Giuseppe De Bellis intervistano l’allenatore della Roma Eusebio Di Francesco.

LIVE

Ore 12:10 – Di Francesco al termine dell’evento ha rilasciato una battuta ai giornalisti presenti: “Gli infortunati li valuteremo oggi“.

Ore 12:00 – Finisce la conversazione tra Di Francesco e Condò.

Ore 11:15 – Condò inizia a conversare con Di Francesco:

Cosa è cambiato dal Sassuolo alla Roma? Dopo la tua seconda esperienza a Roma ti saresti immaginato di tornarci da allenatore?
Assolutamente no perché la mia scelta all’epoca era di staccare totalmente dal calcio. Poi aver preso uno stabilimento a Pescara mi ha dato la possibilità di smettere e fare la vita dei miei genitori. Ma poi ti rendi conto che ti mancano tanti aspetti del campo e quindi ci vuoi tornare. La casualità ha voluto che io tornassi a Roma e credo sia per me una cosa unica. Lo faccio con grande voglia, ci sono pressioni differenti rispetto al Sassuolo. Le tue pressioni interne però sono identiche, perché dei risultati devi portarli da una parte e dall’altra. Gli obiettivi sono diversi ma comunque importanti.

Obiettivo della Roma lo scudetto. Per te sarebbe stato uguale se fosse arrivata una proposta simile da altri club?
Avevo alcune opportunità ma è stata una scelta di sentimento. Roma mi ha dato tanto, ci sono molto legato. Questo è uno stimolo in più. Quando scelsi la Roma da calciatore è stata la stessa cosa perché io potevo andare in altre grandi squadre italiane, anche più blasonate, ma io ho scelto per la persona che più mi ha voluto, Franco Sensi. Io a novembre avevo già un accordo con la Roma. Mi lego tanto alle persone. Sarei potuto andare da altre parti ma non è scattata la scintilla.

Come hai cambiato mentalità da giocatore ad allenatore?
Ruoli totalmente differenti perché il calciatore è più orientato a se stesso, alla propria prestazione. L’allenatore ha una società alle spalle, deve gestire uno staff completo, tantissimi giocatori dove l’aspetto psicologico è fondamentale. Valutare le scelte di campo. Io sono subentrato da allenatore in situazioni dove si giocava 4-4-2. Non essendo incosciente ho cercato di inculcare le mie idee su un sistema di gioco differente dal mio. Potrà succedere ancora, l’importante è avere una filosofia di calcio. Comunque vi assicuro che sono due ruoli differenti. Un calciatore sul campo deve tirare fuori tutto quello che ha. L’allenatore dipende dai calciatori. Anche un calciatore ormai dipende dal mister e da quello che gli viene trasmesso.

L’allenatore della Roma deve aderire al volere popolare o essere disincantato, come Capello?
Magari ci sono stati altri allenatori che sono stati disincantati e non sono riusciti a vincere. Sicuramente io sono molto staccato da certe dinamiche. Se dovessi andare dietro a certe cose sbaglierei sicuramente. Non si vince non sbagliando ma sbagliando meno. Credo che la squadra che sbagli meno alla fine vince. Per arrivare a questo devi staccarti da tante dinamiche e concentrarti solo sul tuo lavoro. Lo spogliatoio viene prima di tutto.

Come ha gestito la vicenda di Dzeko nello spogliatoio dopo la partita con l’Atletico Madrid?
Ha sbagliato perché dietro c’è un lavoro e tanti di voi non possono sapere quello che facciamo in settimana. Anche altri possono far fatica a digerire determinate cose. La cosa importante è avere i risultati che legittimino il tuo lavoro, che è difficile non solo a Roma. Perché poi sembra che uno punti il dito sempre verso giornalisti, radio, etc… Basta, cambiamo mentalità. Incontro gente che mi dice di non dare retta a nessuno poi però danno tutti retta a tutti. Predicano bene e razzolano male. Non c’è niente di male ad esprimere il proprio pensiero con educazione, rispetto a chi non lo fa. La cosa fondamentale è il tempo per trasmettere le idee di gioco. Come quando entri in azienda, servono anni per farla crescere. Sarri per esempio, ricordiamoci da dove è partito, dal sistema di gioco iniziale e le difficoltà del caso. Chi gli è stato vicino ha avuto l’intelligenza di aspettare e credere in questo allenatore. Noi siamo partiti facendo un ritiro e una tournée. Dopo 3 giorni in cui avevo tutti i giocatori abbiamo affrontato Psg, Juventus e Tottenham, senza mai perdere.

Un allenatore non ha più il potere di scegliere cosa fare durante l’estate?
Ora come ora ti direi di si, però se vieni preso a metà giugno quando tutto è programmato non è corretto. Tu entri e ti devi adattare, ma non deve essere un alibi. A scuola di solito si passa dal facile al difficile. Noi siamo partiti con tutte gare difficili e questo magari non trasmette consapevolezza e forza alla tua proposta di gioco. Poi siamo arrivati alla sfida con l’Inter, che forse meritavamo più di tutte le altre gare di vincere, e l’abbiamo persa. In quel caso il giudizio si basa sui 20 minuti finali, che fanno la differenza. Io però non mi posso basare su solo 20 minuti ma su una prestazione complessiva, quello che magari la gente non riesce a capire. La forza sta nel continuare a credere in quello che si propone. Dzeko, in una gara in cui tocca 2 palloni ma per demerito non solo degli altri ma anche suo, doveva mettersi a disposizione e la differenza è lì. Ma lui lo sa benissimo, a fine gara anche io posso dire le cose non giuste. Di solito a fine partita nello spogliatoio non entro, parlo due giorni dopo quando la lucidità ti porta a dare giudizi differenti. Come anche i giornalisti, che magari fanno i voti di getto, giustamente. Si scrivono tante cavolate, ma è anche normale.

Com’è cambiato il rapporto con i media?
Dipende dal contesto. Ora ci si avvicina meno ai giornalisti. Si parla nelle conferenze. Credo però sia normale perché tante volte si cerca più il pettegolezzo che il vero messaggio delle parole. I social hanno cambiato molto. Non dico che sia sbagliato, fa parte delle nuove generazioni. Tornando alle pagelle è il particolare che fa la differenza perché vi assicuro che i calciatori leggono le pagelle. E gli danno molto peso. Questo può influire in una stagione perché c’è chi si butta giù. Anche la mia comunicazione è importante all’interno della squadra. Un titolo di giornale può mettermi molto in difficoltà. Questo non deve accadere ed è fondamentale essere chiari. I media sono importanti all’interno di uno spogliatoio, per me un pochino meno perché la vivo in maniera differente e riesco ad accettare qualsiasi giudizio. Poi se mi chiedi il mio parere io ti rispondo, ma non verrò mai a chiederti perché hai scritto una determinata cosa.

Molti anni fa però si poteva assistere agli allenamenti…
A Sassuolo gli allenamenti erano aperti fino al giovedì, chiudevo il venerdì solamente per alzare la tensione dei giocatori. Alla Roma è differente perché abbiamo Roma TV che è una casa del Grande Fratello, nel senso positivo però (ride ndr). I giornalisti a Pinzolo potevano assistere sempre, a volte quindi se dicono che non ho mai lavorato sulla fase difensiva anche se hanno visto gli allenamenti dove dedicavamo 40 minuti solo alla linea difensiva, ti fa capire che quando uno scrive deve anche informarsi. A Sassuolo, ambiente differente ovviamente, potevano assistere tutti, ma non vedevo sempre i giornalisti perché avevano anche loro le proprie cose da fare. Roma ovviamente sarebbe differente.

Molti anni fa però arrivò al Milan un marziano come Sacchi che cambiò il modo di allenarsi…
Nulla nasce per caso, la ripetitività aiuta. Ora il calcio è tecnica e velocità. Arrigo ha cambiato il modo di pensare il calcio. Una volta si andava a 2 all’ora, era pieno di tempi morti. I giocatori tecnici di una volta nel calcio di adesso avrebbero dovuto alzare la velocità.

Nella partita della nazionale con la Macedonia hai notato la grande distanza tra difesa e centrocampo?
Sinceramente non l’ho vista, non lo dico per non dare giudizi, ma il gioco di Ventura tende a far aprire il campo. Può essere un vantaggio ma uno svantaggio nel recupero immediato. Io vorrei sempre avere una squadra corta, il difensore tende ad essere pigro quando non ha la palla e questa cosa va alimentata con una maggiore partecipazione.

Credi in una fusione totale tra possesso palla e recupero?
Chi attacca deve essere positivo, chi difende deve essere pessimista e aspettarsi sempre il peggio. Il “non me l’aspettavo” significa prendere un gol o non segnare, non essere un professionista. Le transizioni sono immediate nel calcio, roba di centesimi, lavorare su questi aspetti è determinante.

Quanto tempo dedichi all’analisi dei dati?
Nel dopo partita sono attento anche con chi vado a parlare. A me piace il giornalista che riesce a non prepararsi le domande, ma fa le domande in base alle risposte. I dati mi interessano meno. Oggi ci sono gli analisti e i tattici ma per me l’unico analista è il mister, il copia e incolla non esiste da nessuno. Si valuta insieme ad altre persone e si cerca di trasmettere. Il cambio di posizione di Nainggolan in Milan-Roma, quando l’ho messo addosso a Biglia, è stato motivato vedendo i dati dei palloni toccati. Lì è cambiata un po’ la gara. I centrocampisti si appiattivano e non si potevano fare ripartenze, in quelle situazioni bisognava andare da quella parte e basta. Lì è cambiata la partita. Si può parlare di bravura o di fortuna, ma a volte l’immediatezza nell’intrepretare certe cose fa la differenza. Sono cose che fanno parte del nostro lavoro. I dati in certe fasi sono importanti. Se andate a vedere i terzini sono i giocatori che hanno giocato più palloni, una scelta dettata dall’impostazione tattica.

Hai già studiato per il Napoli?
Assolutamente sì.

La partita dello scorso anno?
Ricordo quella partita, ai punti il Napoli ha meritato la vittoria ma nel finale la Roma poteva fare 3 gol. Con il Sassuolo pareggiai al San Paolo. Il Napoli costruisce tanto da una parte per andare a finalizzare dall’altra, è una grande qualità. Ci sono tante sfaccettature del basket. Gasperini trasmette molto in questo senso, come i duelli individuali. Io lavoro più su duelli di zona.

Bilancio in perfetta parità contro Sarri per te. Ti piace affrontare le squadre di Sarri?
C’è stata un’evoluzione di Sarri, lavorando 3 anni con una squadra, che ha trasmesso la sua idea di gioco. Quando perse con me giocava con un altro modulo, il 4-3-1-2 dove si cercava più verticalità, ora la forza del suo Napoli è la capacità di lavorare sulle catene esterne. Sentivo un’ottima analisi giorni fa: non fa mai appiattire i suoi giocatori su una linea di passaggio. Io però cerco di lavorare però prima sulla mia squadra, per non far realizzare il suo sistema di gioco.

Uno spareggio per la lotta scudetto?
Magari no, ma è una partita fondamentale. Ogni partita, piccola o grande che sia, la facciamo diventare importante, questa avrà un gusto particolare.

Roma e Napoli sono l’obiettivo da raggiungere per le altre squadre italiane?
La squadra da battere resta la Juventus. Roma e Napoli sono quelle che si sono avvicinate di più, hanno anche la potenzialità giusta. La Roma ha cambiato di più, in primis l’allenatore, ma non vuol dire che siamo meno competitivi, siamo qui per crescere. Ci dispiace non aver giocato a Genova, a livello psicologico un po’ pesa e a lungo andare può pesare, dipenderà molto dal risultato contro il Napoli.

Schick, che personalmente mi piace da impazzire?
Mi farebbe impazzire anche poterlo allenare (ride, ndr). Ma si vede che ha l’istinto del campione. Non sto a dire in che ruolo giocherà, magari cambierò qualcosa a livello tattico ma è un attaccante, non solo una prima punta ma comunque un attaccante centrale. Dipende sempre dal sistema di gioco. Se andate a vedere le cose migliori alla Samp le ha fatte partendo dal centrodestra, caratteristica importante per me il piede invertito.

Giampaolo dice che nelle sue giocate non è mai banale…
Assolutamente, ha delle qualità importanti. Schick è un ragazzo giovane che magari ora manca in continuità. Non diamo però giudizi affrettati. Ho allenato tanti giovani e vi dico che vanno accompagnati e aiutati.

Ore 11:10 – Inizia l’evento al Caffè Paszkowski.

Simone Burioni

Serie A – I risultati della 7^ giornata. Roma corsara con il Milan. Napoli solo in testa

Ecco i risultati della settima giornaata:

  • Udinese-Sampdoria 4-0
  • Genoa-Bologna 0-1
  • Napoli-Cagliari 3-0
  • Lazio-Sassuolo 6-1
  • Chievo-Fiorentina 2-1
  • Torino-Verona 2-2
  • Benevento-Inter 1-2
  • SPAL-Crotone 1-1
  • Milan-Roma 0-2
  • Atalanta-Juventus 2-2

 

La classifica 

  • Napoli 21
  • Juventus e Inter 19
  • Lazio 16
  • Roma 15
  • Milan e Torino 12
  • Sampdoria, Bologna e Chievo 11
  • Atalanta 9
  • Fiorentina 7
  • Cagliari e Udinese 6
  • Spal e Crotone 5
  • Sassuolo 4
  • Verona 3
  • Genoa 2
  • Benevento 0
  • – Roma e Sampdoria una partita in meno.

 

Classifica marcatori:

  • -10 reti: Dybala (1 rigore-Juventus).
  • – 9 reti: Immobile (3-Lazio).
  • – 7 reti: Mertens (3-Napoli); Dzeko (Roma).
  • – 6 reti: Icardi (3-Inter). – 4 reti: Callejon (Napoli); Quagliarella (1-Sampdoria).
  • – 3 reti: Gomez (2-Atalanta); Luis Alberto (Lazio); Perisic (Inter); Higuain (Juventus); Thereau (2-Udinese/Fiorentina); Insigne (Napoli); Belotti e Ljajic (Torino).

Quando San Siro vuol dire (ri)nascita

Simone Indovino – Mercoledì 26 ottobre 2016, la Roma si stava apprestando a guadagnare 3 preziosissimi punti nello storicamente ostico campo del Sassuolo. Un 3-1 di carattere per gli allora ragazzi di Spalletti, che attendevano solamente il triplice fischio dell’arbitro per terminare la loro positiva serata. Ma come la storia giallorossa ci insegna, non è mai troppo presto per esultare. Un banale stacco da terra, un atterraggio goffo, e il ginocchio di Florenzi fa crack. Dopo l’incauto ottimismo della sera stessa, arriva l’operazione neanche 24 ore dopo, che si andava ad aggiungere a quelle di Strootman, Rudiger, Mario Rui, e chi più ne ha più ne metta.

STEP BY STEP – I canonici quattro mesi di recupero e poi, a un passo dal rientro, la ricaduta che avrebbe allontanato Florenzi dai campi quasi per un anno intero. Sandrino è un cultore del calcio romantico, uno di quelli che ama davvero quello che fa. Ama davvero il colore dell’erba, il suo odore, e lo si capisce da come esulta in maniera spontanea ogni volta che infila la palla in fondo alla rete. Noi tutti sappiamo, in cuor nostro, quanto sarebbe stato difficile per lui stare lontano da quelle sensazioni. MaSandrino è anche un uomo forte, uno di quelli col coltello tra i denti. Non avrebbe permesso mai che un doppio infortunio al ginocchio compromettesse la sua carriera e così ha lavorato, lavorato e ancora lavorato, come questi suoi primi anni di carriera ci hanno insegnato.

DOLCE RIENTRO – Si è presentato nel ritiro di Pinzolo con più voglia che mai, non pronunciandosi sulla data di rientro che aveva in testa, probabilmente per scaramanzia(com’è giusto che sia dopo i fatti tribolati che ha dovuto vivere). Il rientro nel terreno di gioco è datato 1 settembre 2017, nel suo Olimpico, nell’amichevole contro la Chapecoense in cui mette a segno un calcio di rigore. Per il ritorno ufficiale è solo questione di tempo, e Di Francesco lo sa. Lo studia, lo osserva, ne parla e se lo coccola.

SAN SIRO, ANCORA – Per il mister riavere Florenzi in gruppo è stata una sorta di manna dal cielo. Con i tanti impegni ravvicinati di questo inizio stagione, la presenza del 24 ha potuto far rifiatare Bruno Peres. Gara dopo gara, emergenza di infortuni dopo emergenza, ed ecco che il classe ’91 riprende il ruolo che tante glorie gli regalò con Garcia, quello di ala destra. Il sigillo per il definitivo 0-2 in favore della Roma in casa del Milan ha sancito il ritorno alla rete dopo ben 546 giorni. Il tutto nella cornice di San Siro. Si, lo stesso stadio che lo vide realizzare la prima marcatura in Serie A su assist di un certo Francesco Totti. Quello stadio che oggi, cronologia di eventi alla mano, rappresenta una sorta di chiusura del cerchio. Perché lì Sandrino è nato, le avversità lo stavano fermando, ma sempre lì è risbocciato. E questo non può essere che l’inizio di una nuova vita (calcistica, chiaramente), per il giovane tuttofare capitolino che vuole prendere la Roma in mano.

Perché Ale, noi tutti sappiamo che l’ultimo gol da te realizzato prima di Milano era stato in un derby, e questo non poteva che farti scappare un leggerissimo sorriso. Ma noi avevamo bisogno al più presto di rivederti felice, per te stesso e per la Roma.

Simone Indovino

Tutti gli impegni dei calciatori giallorossi in Nazionale prima di Roma-Napoli

Simone Burioni – Il campionato si ferma sul più bello per la Roma. I giallorossi torneranno in campo il 14 ottobre contro il Napoli allo stadio Olimpico. Adesso tocca alle Nazionali. Sono dieci i calciatori della Roma convocati nelle rappresentative dei corrispettivi Paesi.

Alisson è stato confermato tra i pali del Brasile che affronterà la Bolivia ed il Cile il 5 e l’11 ottobre. Anche il secondo portiere giallorosso Lukasz Skorupski è stato chiamato dal ct della Polonia  per le gare del 5 e dell’8 ottobre, rispettivamente contro Armenia e Montenegro. Bogdan Lobont, a sorpresa, si riprende la Nazionale rumena all’età di 39 anni per le partite contro Kazakistan e Danimarca (5 ed 8 ottobre).

Manolas tornerà alla guida della retroguardia greca per le sfide contro Cipro (7 ottobre) e Gibilterra (10 ottobre). Federico Fazio è stato inserito nella lista stilata dal ct dell’Argentina Jorge Sampaoli per i match contro Perù (6 ottobre) ed Ecuador (11 ottobre). Il capitano del Messico, Héctor Moreno prenderà in mano le redini della propria Nazione, guidando la squadra nelle partite contro Trinidad ed Honduras del 7 e dell’11 ottobre. Non poteva mancare all’appello Aleksandar Kolarov, l’uomo simbolo della prima parte di stagione giallorossa: la sua Serbia affronterà Austria e Georgia il 6ed il 9 ottobre e potrebbe ipotecare la qualificazione già contro gli austriaci.

Stephan El Shaarawy è l’unico italiano della Roma a rientrare nella lista di Ventura, dopo che Daniele De Rossi e Lorenzo Pellegrini sono stati esclusi causa infortunio. Il Faraone tenterà di tornare al gol contro Macedonia (6 ottobre) e Albania (9 ottobre). Anche il giovane Cengiz Under è stato chiamato dalla propria Nazionale. Il turco ci sarà contro Islanda (6 ottobre) e Finlandia (9 ottobre). Una formalità la convocazione di Edin Dzeko con la sua Bosnia, dopo che il numero 9 della Roma si era caricato la squadra sulle spalle e l’aveva portata alla vittoria contro il Milan a San Siro. Edin sfiderà il Belgiodell’escluso Nainggolan e l’Estonia, rispettivamente il 7 e il 10 ottobre.

LISTA CONVOCATI ROMA:

ALISSON (Brasile) – Bolivia (5/10/17) e Cile (11/10/17)

SKORUPSKI (Polonia) – Armenia (5/10/17) e Montenegro (8/10/17)

LOBONT (Romania) – Kazakistan (5/10/17) e Danimarca (8/10/17)

MANOLAS (Grecia) – Cipro (7/10/17) e Gibilterra (10/10/17)

FAZIO (Argentina) – Perù (6/10/17) e Ecuador (11/10/17)

MORENO (Messico) – Trinidad (7/10/17) e Honduras (11/10/17)

KOLAROV (Serbia) – Austria (6/10/17) e Georgia (9/10/17)

EL SHAARAWY (Italia) – Macedonia (6/10/17) e Albania (9/10/17)

UNDER (Turchia) – Islanda (6/10/17) e Finlandia (9/10/17)

DZEKO (Bosnia) – Belgio (07/10/17) e Estonia (10/10/17)

*Daniele De Rossi e Lorenzo Pellegrini non convocati con l’Italia per infortunio.

Simone Burioni

Di Francesco il capotreno di una Roma inarrestabile

Margherita Bellecca – La Roma difranceschiana è diventata inarrestabile. Battendo il Milan per 2-0 è arrivato il quarto successo consecutivo in campionato, il quinto di fila contando la Champions League e addirittura il decimo in trasferta, striscia cominciata con Spalletti.

I giallorossi non perdono a San Siro, contro i rossoneri, da due anni e mezzo e nell’arco dei 90 minuti si sono dimostrati furbi e spregiudicati. Nel primo tempo è il Milan a comandare la partita sfruttando il folto centrocampo e le fasce gestite perfettamente da Rodriguez e Borini. Arrivano da lì, e dal centro, i maggiori pericoli per la retroguardia della Roma ma Alisson, dal canto suo, non si sporca nemmeno i guanti.

Sporadici gli attacchi dei capitolini che salgono di tono nella seconda frazione di gioco. Di Francesco sposta Nainggolan su Biglia e la mossa si rivela vincente. Il centrocampo di Montella viene imbrigliato e i giallorossi cominciano a macinare gioco creando occasioni su occasioni. La Roma è bella e romana con Pellegrini e Florenzi, spine nel fianco della difesa del Milan. I due sono imprendibili col centrocampista che confeziona prima l’assist per l’esterno, grande respinta di Donnarumma, e poi la palla vincente per il grande destro di Dzeko, leggermente deviato, che rompe gli equilibri. Il bosniaco è implacabile e segna il suo settimo gol in campionato in sei partite, ma soprattutto si dimostra ancora decisivo.

Nella vittoria della Roma c’è anche la firma di Alisson che, con un piazzamento super, ed una respinta perfetta, strozza l’urlo del gol nella gola di Bonucci. I giallorossi prendono sempre più campo fino a chiudere la partita con Florenzi, che torna al gol dopo 546 giorni. L’ultima rete del numero 24 era datata 3 aprile 2016 quando, durante il derby, trafisse Marchetti dalla distanza. Per l’azzurro è una vera e propria liberazione, quasi ai limiti del pianto dopo un calvario durato 11 mesi.

Il Milan scompare dal campo e Di Francesco può godersi la vittoria sul fratello Montella. Ora arriva la sosta per le Nazionali, anche se sono da monitorare le condizioni di Strootman, mentre De Rossi e Pellegrini rimarranno a Roma. L’olandese ha riportato una forte contusione all’adduttore della gamba sinistra,  il capitano un’infiammazione al ginocchio destro, il giovane numero 7 un edema al soleo destro.

Di Francesco è il capotreno di un gruppo che viaggia forte. Il vagone dei desideri chiamato Roma è partito e non vuole fermarsi adesso, prossima tappa il Napoli alla ripresa del campionato.

Margherita Bellecca